O sare o lasciarsi travolgere dagli episodi? Il Cagliari ha perso la seconda partita su sei, segna poco (il Pisa, ultimo, ne fa di più) e passerà quindici giorni a rimuginare su quello che poteva essere – il quasi primato – e che invece è stato. Osare? Troppo poco, una rete infinita di passaggi sterili, regalandosi autostima solo col possesso. Dall’altra parte, una squadra ben messa – sì, anche la difesa attentissima in ogni zona del campo fa parte del gioco – e un’enorme quantità di seconde palle conquistate, che per gli addetti ai lavori significa maggiore applicazione per tutta la gara. In sintesi, è suonata la sveglia.

Fortunatamente, siamo ancora a settembre, alla Unipol Domus l’aria d’estate fa sembrare l’inverno lontanissimo, raccontandoci che il campionato di serie B concede un sacco di tempo per rimediare a questo piccolo disastro. Se contro la Spal la partita era sfuggita di mano ma c’erano stati segnali di vita, con il Bari la squadra di Fabio Liverani non ha convinto, anche sul piano dell’applicazione, quell’arcinota “voglia di vincere” che non si è vista. Concetti elementari, come il calcio che si è visto sabato pomeriggio: elementare: Lapadula stritolato dai colossi del Bari (e poco assistito), Nandez e Zappa a destra poco incisivi, dall’altra parte un irriconoscibile Mancosu, in mezzo non ricordiamo situazioni in cui l’applauso fosse necessario. Per chiudere, nell’unica cosa buona fatta dal Bari – l’azione del gol – la corazzata Cagliari è colata a picco neanche fosse un gommone liso dal tempo.

Lavoro, lavoro, lavoro e anche una buona dose di modestia: in questa Serie B, dove la classifica ti sta già presentando il conto, non basta chiamarsi Cagliari e aver fatto una serie di acquisti di peso per vincere le partite. Concetti elementari, come quello di avere una panchina da Serie A ma non riuscire a “spaccare” la gara. Il Cagliari non è sicuramente un grande malato del torneo, né aveva messo la freccia per un colossale sorpasso, ma ha capito – se mai ce ne fosse stato bisogno – che sarà durissima sistemarsi in alto. Servirà osare d più, in panchina e in campo.

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