Q uando l’EMN, European Migration Network, teneva sotto indagine non solo i flussi migratori ma anche i movimenti degli studenti internazionali, il report del 2013, chiamato non a caso “indagine empirica” per sottolineare la difficoltà del reperimento dati, ipotizzava un numero di iscritti non comunitari nelle università italiane dell’ordine di 50mila, pari a circa il 3% del totale iscritti. Negli anni successivi, altri dati disorganizzati indicano che il numero di stranieri, comunitari e non, iscritti all’università in Italia è andato gradualmente aumentando sino al 2018 con un picco di 107mila unità.

I l numero si è poi dimezzato nel 2019 – non è spiegato il motivo di tale drastico calo – ed è poi rimasto costantemente al di sotto del 3% del totale degli iscritti. I dati ritornano a essere chiari quando le fonti utilizzate sono i permessi di studio concessi dai paesi OCSE. L’Italia, insieme alla Grecia, presenta il rapporto più basso tra studenti internazionali e nazionali. Il nostro è il Paese in cui si è registrato il più forte calo del numero di studenti provenienti dall’estero: nel 2022 gli international students nel complesso dei paesi OCSE sono stati 1,92 milioni, di cui solo 59mila in Italia, mentre nel Regno Unito sono stati 468mila, negli Stati Uniti 409mila, in Germania 369mila, in Canada 276mila, Australia 193mila, Giappone 167mila, Francia 91mila, ecc. Viceversa, quasi 80mila studenti italiani compiono il percorso inverso iscrivendosi a università estere dell’area OCSE.

La forbisce tra Italia e altri paesi s’allarga ulteriormente quando si considerino tutti gli studenti delle scuole superiori (si parla di una mobilità complessiva di circa 4,3 milioni di studenti) e dei programmi Erasmus – gli italiani che partono con Erasmus sono molto più numerosi degli stranieri che vengono nel nostro Paese. Un altro dato molto significativo è che il 60% degli studenti in mobilità internazionale vengono dall’Asia, essenzialmente dalla Cina e dall’India, dal Vietnam e dal sud-est asiatico, mentre il maggior numero di studenti stranieri iscritti in Italia proviene dalla Romania.

L’Italia sta dunque fallendo nel tentativo di attrarre talenti dal mondo, e sta anzi dissanguando il proprio patrimonio: mentre in Germania gli studenti universitari stranieri rappresentano l’11% del totale iscritti, e in Francia il 9%, in Italia non riusciamo a raggiungere il 3%, e contemporaneamente vediamo fuggire il 4% dei giovani italiani iscritti. La scarsa attrattività delle scuole e degli atenei italiani viene diversamente spiegata (una teoria è che la tipologia di lauree richieste all’estero non incontri quanto erogato in Italia), ma in realtà la curva di declino verso il basso non si è mai arrestata tant’è che il Politecnico di Milano, valutata come miglior ateneo italiano, occupa solamente il 139esimo posto della classifica mondiale QS World University Ranking 2023. La maggior parte delle università italiane si ritrova tra il 404simo posto dell’Università di Pisa e il 1400simo posto dell’Università di Bergamo.

Le università sarde sono oltre questa soglia minima, non appaiono in classifica. I criteri di reputazione e di internazionalizzazione ci crocifiggono, così come dispiega ogni giorno di più i suoi tristi effetti la crisi demografica. In mancanza di scambi proficui con l’estero e in presenza di calo delle nascite e di fughe dei ragazzi all’estero, abbiamo di fatto creato una rete di “atenei fantasma”, università autocentrate il cui unico scopo è il presidio sempre meno strategicamente utile del territorio.

Rilevo un ultimo preoccupante aspetto: la conoscenza del nostro Paese, così come risultato di un’esperienza di studio in lo co e base per un futuro di scambi e di export, sta diventando critica e “autoimmune”: se gli studenti stranieri non scelgono i nostri atenei, sempre meno sarà ricercato e valorizzato il “made in Italy” – siamo malati marginali.

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