È da tempo che la scuola sta perdendo progressivamente la sua ragion d’essere. Formare ed aiutare la crescita morale, culturale e della conoscenza critica di tutte le nuove generazioni al di là della loro appartenenza sociale.

Ogni società ha bisogno di formare e selezionare le classi dirigenti del proprio Paese. A questo compito abbiamo delegato le università con i corsi di alta formazione. Esse pertanto sono responsabili nel formare e selezionare le nuove classi dirigenti. Senza di esse la stessa democrazia è a rischio.

B isogna che brevemente facciamo un piccolo passo in dietro. Fino agli anni 50 la maggior parte degli studenti universitari apparteneva a classi sociali agiate. Il movimento studentesco del 1968, fra le tante rivendicazioni, mise in campo il 6 politico nell’università, per cui questo voto, e quindi la promozione, veniva data a tutti senza essere stati giudicati dai docenti. Fu una fiammata che con gli anni finì nel dimenticatoio della scuola. Ma l’idea di deregolamentare il corso degli studi trascurando da un lato la formazione dei docenti e la qualità dell’istruzione conseguita dagli studenti dall’altra, hanno determinato danni formativi enormi. Arrivando a rifiutare qualsiasi controllo della qualità delle competenze conseguite dagli studenti (Test Invalsi). Se ormai è appurato che nel nostro Paese un quindicenne su due non è in grado di capire quello che legge possiamo dire che la frittata è fatta.

Ma la situazione è anche peggiore a livello di laureati. Già nel 2008, in un concorso per assicurare alla magistratura 500 giudici in più, solo la metà dei posti fu ricoperta. La commissione prese atto di un livello inadeguato dei concorrenti, tutti laureati in giurisprudenza, con povertà linguistica, errori di diritto e anche di grammatica e addirittura con l’incapacità di andare a capo correttamente. Secondo Luca Poniz, uno dei commissari del concorso, le cause erano da ricercare nel “collasso dell’attitudine formativa della scuola” ma anche nella “proliferazione” di Atenei che tendono a promuovere tutti “. Non diversamente è accaduto per l’ultimo concorso per l’accesso in magistratura tenuto quest’anno. Per 310 posti hanno concorso 3.797 candidati. Solo 220 sono stati ammessi alle prove orali, il 5,7%. Di contro c’è il mondo della sanità nel quale, in linea generale, i concorsi per accedere al SSN sono ormai rari. Fare il medico, però, non è un mestiere, ma una missione. La missione di mitigare le sofferenze dell’uomo ed aiutarlo ad affrontare le malattie. Tanto che in alcune università americane viene chiesto per potersi iscrivere a medicina un elaborato col quale lo studente spiega le profonde motivazioni che gli hanno fatto fare questa scelta. Per questo motivo in un passato non molto lontano per poter partecipare al concorso di Primario o di Aiuto (figure centrali dell’organizzazione di un reparto) era necessario un esame nazionale di idoneità. Tutto col tempo è stato cancellato e sostituito da incarichi senza momenti di valutazione del medico.

Ora sono ripresi i concorsi. Ma non si seleziona il medico più idoneo per uno specifico reparto o ospedale. È evidente che servono competenze diverse per fare il medico in un piccolo ospedale periferico o in un ospedale ad alta specializzazione. Cosi come non si può essere trasferiti da un piccolo ad un grande ospedale. In società complesse come le nostre, le competenze sono essenziali perché la conoscenza cambia continuamente. Le innovazioni nella didattica e nella sanità non aspettano i nostri tempi. Si rischia di restare ai margini del progresso e della storia. L’unica via d’uscita è mettere al centro delle nostre società la conoscenza e il merito.

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