Se aumentano le disuguaglianze
C i sono sempre più riscontri sull’aumento ancora più impietoso, in atto da una trentina d’anni a questa parte, delle disuguaglianze sociali in gran parte del mondo. Particolarmente evidenti all’interno dei diversi territori, nelle gerarchie economiche, nella struttura delle stesse classi sociali, nei redditi delle persone, e così via. Un fenomeno che non ha risparmiato la Sardegna, che già, del suo, è stata sempre parecchio disomogenea, tanto da averne condizionato, ancora più pesantemente, gli equilibri sociali e territoriali. Proprio perché sono cresciute in dipendenza di politiche anch’esse disomogenee e malaccorte, che hanno creato, come si suole dire, figli e figliastri. In parole povere, nuove disuguaglianze.
Il risultato più evidente lo si riscontra nella chiara diversità rilevabile fra la Sardegna degli anni ’90 e quella attuale, caratterizzata da valori per gran parte in costante incremento delle differenze territoriali, sociali, economiche. Riscontrabile nel raffronto dei redditi individuali, che da allora ad oggi hanno visto incrementare il divario da 26 a 48 punti percentuali, e con la fascia bassa dei percettori, passata dal 22 al 52 per cento della popolazione.
S empre più indigenti, quindi, a fronte di un significativo ridimensionamento dei ceti cosiddetti abbienti. Può essere indicativa al riguardo la stima che indicherebbe in oltre 400mila le famiglie sarde (su 750mila) in evidenti difficoltà (e con un terzo di esse in condizioni di chiara povertà).
Di fatto sembrerebbe di essere di fronte ad una regressione in piena regola, che conferma quel che si va sostenendo in questi interventi giornalistici: la pesante negatività riscontrabile per l’avvenuto passaggio da azioni politiche volte a predisporre uno sviluppo prossimo venturo a quelle indirizzate soltanto ad affrontare il contingente ed a soddisfare prevalentemente i tornaconti elettorali. Ed al riguardo, gli stessi bilanci regionali sono in grado di offrirne una chiara dimostrazione, con la spesa in conto capitale ormai fagocitata quasi per intero da quella corrente.
È chiaro che tutto questo non può che chiamare in causa la politica. Che qui in Sardegna, più ancora che nel resto del Paese, ha mostrato una sua evidente impreparazione. Molto vicina, peraltro, ad una pericolosa inettitudine. Proprio perché quelle disuguaglianze parrebbero figlie legittime, a parere di molti, delle debolezze e delle distrazioni della politica. Si tratta di un argomento che può apparire populista e demagogico, e per certi versi anche pericoloso, ma che conviene affrontare, ricercandone i correttivi. Come ha fatto recentemente Carlo Trigilia, illustre accademico di sociologia economica a Firenze, con il suo saggio dedicato a “La sfida delle disuguaglianze” edito da il Mulino. Incentrato sull’analisi tutta politica per ritrovare «una capacità di riflessività da parte di tutti gli attori – partiti, organizzatori degli interessi – per premere sul pedale dell’innovazione e del cambiamento», in modo da poter correggere decisamente le troppe storture ed i numerosi incagli che oggi generano quelle disuguaglianze.
Ora, per tornare al tema centrale di quest’intervento, non è facile capire se i nostri governanti abbiano ben chiaro cosa abbia rappresentato per l’isola, e cosa rappresenti ancora, il peso sociale delle disuguaglianze. Cioè se siano consapevoli che si è di fronte ad un condizionamento sociale fortemente negativo, e che riguarda non solo le differenze nei redditi individuali, ma che coinvolge soprattutto gli assetti territoriali (con l’ampliamento delle aree dell’indigenza), le attività economiche (con le avvilenti sperequazioni salariali) e lo stesso quadrante delle classi sociali, con la semi-scomparsa del proletariato e con un esuberante ceto medio sempre più in affanno, per via di ristrettezze reddituali ed incertezze occupative.
Per affrontare ed eliminare questi malanni, non occorrono pannicelli caldi o semplici analgesici; occorre che la politica o, meglio, quanti sono e saranno chiamati al governo dell’isola s’impegnino a mettere in campo una terapia decisa e decisiva, che rimetta in buona salute le capacità di lavoro, l’incremento della produttività, i benefici di un welfare giusto ed un più equilibrato assetto territoriale.
Si t ratta, ovviamente, di un passaggio difficile, che richiede impegno e capacità notevoli, fuori dell’ordinario e del consueto. Si è però convinti che sia questa l’unica opzione utile per evitare che a questa nostra Sardegna si eviti una caduta sempre più in basso, scivolando, sul piano inclinato delle disuguaglianze, verso un avvilente e drammatico declino sociale senza ritorni.
Storico e scrittore