È morto Piero Angela, volto, voce, didascalia, capitolo, romanzo, avventura di un’educazione che fu. La sua televisione fu il pasto che s'alternava ai volumi de “I Quindici”, alle pagine delle enciclopedie vendute porta a porta nei paesi, la scuola con il grembiule nero e il fiocco colorato che battezzava l’età e la classe, tutti in fila per due, poveri e ricchi, suona la campanella, la ricreazione è finita, hai studiato il capitolo sui faraoni? Ricorda di leggere l'Odissea, sì, quando finisce Zorro, mamma.Siamo tutti un po’ debitori di qualcosa a Quark, quel catodico spettacolo d’altri tempi, quel certo gusto nel fare televisione, la ricerca di un nuovo linguaggio, il senso del format, del racconto, senza mai buttare via la tradizione, un sapere senza sfoggio di arida erudizione, l’artigianato della macchina da presa e della scrittura, la notizia e la sua esposizione, la macchina della scienza svelata, l’antico mestiere del giornalismo di qualità. Piero Angela aveva un’idea della tv maestra degli italiani, era quella di Alberto Manzi, di Ettore Bernabei e, nel campo che seminava Angela, di un pioniere come Folco Quilici che ha raccontato la vita dei mari come nessuno. Tutto questo forse è irripetibile, ma resta come testimonianza di un’epoca che maneggiava una cultura costruita sui libri, sull'incontro e l’osservazione del mondo come esperienza interiore profonda, sulle ferite di ogni giorno. C’era ancora la cultura della Rai monopolista, certo, bacchettona, sicuro, era l’Italia della Prima Repubblica.

U na Prima Repubblica che manca, (guardate come è ridotto il dibattito politico in questi giorni); in quel monolite si aprivano lampi di genio e c’era chi aveva ragione da vendere (e far vedere). Ripescate qualche puntata di “Match”, programma ideato da Arnaldo Bagnasco, trasmesso su Rai2 nel 1977-78, condotto da un magnifico Alberto Arbasino, riprendete “Mixer” di Giovanni Minoli (un grande artigiano del racconto, con il quale ho lavorato per 4 anni alla radio, insieme a Pietrangelo Buttafuoco, nell’avventura di “Mix24”), avrete la prova che la buona tv si può fare e del dove siamo finiti oggi. Il paradosso dei maestri è quello di una tv che poi non è stata una buona allieva, è un problema dei giornalisti e degli editori, pubblici e privati. E non solo sullo schermo, i giornali hanno davanti la stessa sfida: superare i bastioni di Orione (sì, Blade Runner) della contemporaneità. In fondo, l’onda segue la direzione del Paese, lo accompagna e la nazione più che disfatta o distratta, sembra spesso strafatta.Piero Angela fu pioniere della divulgazione scientifica in un’Italia a cui sono rimasti sulle spalle problemi con le tabelline, la scrittura e la lettura. All’andata c’era un Paese ignorante, ora siamo all'analfabetismo di ritorno; in passato c’erano valide ragioni per non sapere, oggi ci sono solide prove a carico nostro sul non-sapere; si pensava all’istruzione, poi è giunta la distruzione; ieri il Paese era in ritardo, oggi è ritardato. Piero Angela fu sempre in orario, spesso si presentò in anticipo, il suo orologio andava naturalmente avanti e l’Italia spesso tornava indietro. Nell'ora senz'ombra si è presentato puntuale, con un messaggio in bottiglia per l’oggi e il domani: «Ho fatto la mia parte, cercate di fare anche voi la vostra per questo difficile Paese". Angela aveva le pulsazioni sincronizzate con il tempo del jazz, nelle suo ultimo atto c’è un retrogusto dolciastro, il suono di sassofono, un long goodbye a la Raymond Chandler, il mistero da risolvere: l'Italia, “questo difficile Paese”.Mentre infuria la campagna balneare, in poche righe, nel post tutto dell’acuto finale, Angela ha rimesso la chiesa al centro del paese, da una parte il messaggio che viene dal lavoro e dal cuore, dall'altra la propaganda da tre palle e un soldo. Scoprite la differenza. Dietro la passione all’ultimo respiro di Piero Angela per la divulgazione scientifica c’era (e c’è) il futuro del Paese, il duro lavoro di pochi - nella scuola, nell’editoria, nella cultura - per i molti che devono imparare a camminare da soli nella contemporaneità, in una fase storica complessa, compressa e accelerata. Nel dicembre del 2019, poco prima che la pandemia cambiasse il mondo, inasprendo la competizione tra le grandi potenze (ne vediamo i segni di morte in Ucraina, nell’ombra della minaccia su Taiwan, nella guerra civile strisciante in America, nelle disparità sempre più profonde in Occidente), furono pubblicati i dati della ricerca Pisa-Ocse sulle competenze in lettura, matematica, scienze dei quindicenni in 79 Paesi. L’Italia si colloca tra il 23° e il 29° posto nella graduatoria dei 37 paesi Ocse. I dati vanno collocati in un contesto dove il nostro Paese è la seconda manifattura europea e un Paese del G7. Siamo una potenza industriale che arranca nell'istruzione - il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale, sempre dati Ocse - e questo dice molto sulla parabola del domani: se non crescono oggi le competenze (e le eccellenze), siamo destinati al declino industriale domani.Siamo alla Fiera dell’Est, s’ode il “venghino, signori venghino” della sagra del voto. Sono qui, alla fine di questo pezzo che chiude la mia giornata, mi viene in mente lo struggente finale della “25esima ora”, il capolavoro di Spike Lee, quella frase sospesa del padre di Monty, un incanto di domani mentre la jeep corre nel deserto: «C’è mancato poco che non succedesse mai…». Aveva ragione Piero Angela, «la morte è una scocciatura».

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