K aliningrad è frammento di Russia in piena Europa: un’exclave di 15.000 chilometri quadrati, lungo il mar Baltico, tra Lituania e Polonia: una provincia militare con più di un milione di abitanti, a poco più di 500 chilometri da Berlino e a poco meno di 300 da Varsavia. Questo strategico territorio - ottenuto da Stalin alla fine della Seconda guerra mondiale durante la Conferenza di Potsdam – lo conoscono in pochi: ma, in molti, dovrebbero averne paura. Perché Kaliningrad è molto vicina a noi. Kaliningrad è una scheggia di Russia conficcata nel cuore dell’Europa.

Ca somai scoppiasse un conflitto più ampio, sarebbe il territorio nemico più prossimo alle nostre città. Ed è proprio qui, in questa Russia lontana dalla Russia (da cui Mosca dista più di mille chilometri), che la gloriosa città prussiana di Königsberg diventò, nell’estate del 1945, un premio ottenuto da Stalin per aver sconfitto i nazisti. Il nome venne cambiato in Kaliningrad e si ottenne che le spoglie mortali del filosofo Immanuel Kant potessero rimanere nella cattedrale.

La città, all’epoca, contava meno di centomila abitanti. Oggi ne vanta mezzo milione: e altrettante persone abitano i piccoli centri limitrofi, fra cui c’è anche la strategica base militare navale di Baltiysk. Quando mi ritrovai a Kaliningrad nell’anno 2000, mentre rappresentavo l’Italia a bordo del Literaturexpress – un treno patrocinato dall’Unesco che, per 47 giorni, viaggiò da Lisbona a Mosca con a bordo centro scrittori provenienti da tutti i Paesi europei – rimasi subito colpito dalla sua posizione strategica. Occorrevano, già allora, un duplice visto per entrare a Kaliningrad, e un permesso speciale per poter visitare la base militare di Baltiysk: ma alla fine navigai per la sua baia a bordo di una nave russa!

Kaliningrad mi apparve spaventosamente tetra, grigia e triste. Ricordo che faceva buio molto presto perché si imponeva ai cittadini l’inappropriato fuso orario di Mosca. E così, quando al di là del vicino confine con la Polonia, erano le sette del pomeriggio a Kaliningrad l’orologio segnava già le nove. Buio pesto, al posto del tramonto.

Ricordo che mi vennero assegnati due assistenti che avevano il compito di accompagnarmi ovunque e di stare sempre con me. Erano ragazzi molto giovani e mi raccontarono, bisbigliando, le condizioni di difficoltà e di rinuncia in cui le loro famiglie vivevano. Mi parlarono, in particolare, di un gigantesco palazzo in stile brutalista sovietico che sorgeva sulle rovine del castello di Königsberg. Un edificio di cemento, alto 21 piani, progettato da un architetto ucraino e rimasto incompiuto. Lo chiamavano “Il mostro” e avevano ragione: perché sembrava avere occhi e bocca.

Il giorno seguente, nella base militare di Baltiysk – dove, a pranzo, mi venne servito il boršč, una tradizionale minestra ucraina a base di barbabietole - i militari russi furono molto gentili e orgogliosi di presentare a uno scrittore italiano l’efficienza e l’imponenza della loro flotta.

Mai avrei pensato che - ventidue anni più tardi – avrei avuto paura di quelle stesse navi.

Quando parlo di Kaliningrad, mi rendo conto che in pochi la conoscono e che quasi tutti faticano a figurarsi dove si trovi e a posizionare sulla cartina dell’Europa questo frammento di Russia: che sta lì, lungo il Mar Baltico, tra il fiume Memel e la regione dei laghi Masuri, e che la guerra ha reso un luogo critico, quasi una bomba a orologeria che pare pronta a esplodere da un momento all’altro.

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