I n campagna elettorale ci ritroviamo tutti, volenti o nolenti, incasellati in qualche categoria. Vale anche per i “giovani”. Nei loro confronti il Partito Democratico si propone come Babbo Natale, promettendo contributi per gli affitti e stage rigorosamente remunerati. La Lega, invece, ha scelto le parti del Grinch, invocando il ritorno della leva obbligatoria. In generale, chi ha meno di una certa età viene trattato come se appartenesse a una associazione di categoria o, se preferite, a un sindacato.

L a cosa è curiosa perché i giovani sono (per quanto in Italia ci sia una certa tendenza a dilatare i confini della categoria) oggi al liceo o all’università e hanno idee spesso vaghe su che cosa faranno. Non esprimono domande precise e tendono a disinteressarsi alla politica, tranne quando vengono stimolati a partecipare da alcune figure che percepiscono come autorevoli: si tratti di Greta Thunberg e la sua battaglia sul clima o di Fedez paladino del Ddl Zan.

La scarsa passione politica non è un sintomo di “qualunquismo”: semplicemente, i più giovani vivono ancora in un contesto protetto. Difetta loro la percezione di come la politica condizioni, materialmente, il lavoro e gli stessi piani di vita dei loro genitori. Il rapporto con la politica, se si vuole, è un po’ come quello con l’assicurazione sulla vita o con i trattamenti per la caduta dei capelli: fino a una certa età nessuno ci pensa, perché il problema pare assolutamente remoto.

A questa distanza i politici rispondono o parlando alla generazione precedente, come Salvini che vorrebbe “raddrizzare” i giovani con alcuni mesi di naja (e si prende gli applausi di qualche genitore e nonno), oppure usando il vocabolario della generazione precedente. Un vocabolario fatto, nel caso del Pd, essenzialmente di sussidi. Invece i giovani sono forse il segmento della società italiana che meglio e più si identificherebbe con l’interesse generale. Perché il loro interesse specifico è quello di crescere, trovare un lavoro, farsi o meno una famiglia, provare a costruire una vita al meglio delle proprie possibilità, insomma, in un Paese che offre sviluppo economico e opportunità. Di questo, si parla poco. Un po’ perché l’andamento dei prezzi energetici è tale che l’opinione pubblica vuole sapere dai partiti come pensano di salvarci la ghirba, di qui a Natale. Un po’ perché i programmi elettorali e la conseguente comunicazione sono un vestito di arlecchino di promesse.

In più, i giovani nelle liste, perlomeno quelli a cui non è stato assegnato il ruolo di mero segnaposto, sono pochi. È una conseguenza inevitabile della riduzione del numero dei parlamentari. Non serve ovviamente essere giovane per fare gli interessi dei giovani. Bisognerebbe però avere qualche idea non del tutto improvvisata su come garantire al Paese un futuro di crescita.

Questo significa soprattutto alcune cose. In primis, una finanza pubblica in ordine. Le parole di Giorgia Meloni sono state, nei giorni scorsi, rassicuranti, così come lo è il fatto che più volte, nei mesi passati, avesse biasimato l’eccesso di indebitamento con cui è stata affrontata l’emergenza Covid. Meglio sarebbe, però, che ci fossero impegni concreti, magari addirittura obiettivi di riduzione del debito messi nero su bianco nel programma elettorale. Nessuno si aspetta vengano rispettati alla lettera ma da quando abbiamo cambiato l’articolo 81 per inserirvi l’equilibrio (non il pareggio!) di bilancio tutti i partiti hanno, tutti gli anni, votato di comune accordo per continuare a fare deficit. Il deficit di oggi sono tasse domani: quelle c he pagheranno coloro che adesso sono giovani.

In seconda battuta, servono misure di rilancio dell’economia non necessariamente a breve termine. Le “riforme” che non producono effetti il prossimo semestre, ma magari di qui a sei anni consentono di avere più creazione di ricchezza, più nuove imprese, un mercato del lavoro con più opportunità.

Da ultimo, l’inflazione. I giovani d’oggi, a differenza dei loro genitori, non hanno mai sperimentato periodi di inflazione sostenuta. Questo è un problema, grosso: perché bisogna capire che i propri euro domani varranno meno di quelli di oggi e provare a proteggersi. La politica ha una leva a disposizione per provare a tutelare il potere d’acquisto: liberalizzare. Ma nel dibattito elettorale manca persino la parola.

Direttore Istituto Bruno Leoni

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