L ’Italia dei borghi è il modello emergente sul quale puntare per allargare la stagione turistica a tutto l’anno, oltre il mare, la montagna e le città d’arte che non hanno bisogno di ulteriore promozione. Ogni paese può essere per la sua bellezza e le originali caratteristiche un museo a cielo aperto e in ogni paese può essercene uno vero, anche piccolo, capace di attirare visitatori per ogni occasione. In più feste patronali,“cortes apertas” come il riuscitissimo esempio della Barbagia, sagre folcloristiche, eventi enogastronomici legati alla tradizioni locali.

E ancora mostre temporanee d’arte e di artigianato, presentazioni di libri, concerti e film, in un elenco di proposte, idee e programmi che ciascuno può inventarsi secondo le possibilità e gli spunti che nascono dal territorio. Questa è la strada che ormai conosciamo bene e che dobbiamo percorrere, non c’è più necessità di convegni per ripetere cose che sentiamo da oltre trent’anni. Ora è il momento del fare, di concretizzare con iniziative reali. Leggiamo della disponibilità di fondi pubblici utilizzando risorse del Pnrr finalizzate proprio a promuovere progetti per “la rigenerazione, la valorizzazione e la gestione del patrimonio di storia, arte, cultura e tradizioni presenti nei piccoli centri con meno di 5 mila abitanti”.

Su questa pagine di recente Cristiano Carocci ha parlato del 90 per cento delle opere d’arte ospitate nei musei italiani che giace non fruito e non fruibile nei depositi. Basterebbe ridistribuire sul territorio una minima parte di questo tesoro per avere musei locali di grande valore e richiamo. Il museo, quando è vivo e attivo nel promuovere iniziative in sintonia col paese, diventa un attrattore eccezionale per un turismo permanente. Tre esempi recenti? Solo lo scorso giugno è stato inaugurato il “Mandas Historical Museum” realizzato dall’amministrazione comunale guidata dallo studioso di storie locali Umberto Oppus per custodire i beni del patrimonio culturale dell’ex Ducato che vanno dall’era nuragica sino al periodo romano e per tanto tempo rimasti chiusi nei magazzini della Soprintendenza archeologica di Cagliari. L’ultimo del mese un centinaio di appassionati e curiosi ha visitato la mostra “L’Isola dei fumetti”, dedicata ai fumettisti sardi e curata dal Centro internazionale del fumetto che ha sede a Norbello. Il Centro voluto dall’esperto norbellese Raffaele Piras e dal direttore artistico Bepi Vigna esiste già da un anno, ma ogni occasione è buona per promuovere il turismo culturale. Oppure la “notte romantica” di Atzara con la manifestazione “Longevitas Mandilisai” che ha messo in piazza ben 27 cantine locali e cento etichette. Nell’occasione il museo Mama (arte moderna e contemporanea) diretto dalla dinamica Cinzia Littarru è rimasto aperto sino a tardi, accogliendo numerosi visitatori che, tra un bicchiere e l’altro, hanno avuto modo di ammirare una piccola quanto straordinaria panoramica degli artisti sardi del Novecento.

Quanti di questi musei esistono e meritano di essere ancor più valorizzati? Stando ai dati elaborati dal centro studi di Cna Sardegna la rete museale sarda è tra le più ampie d’Italia. Con 254 sedi l’Isola ha 1,6 punti di accesso al sistema storico culturale ogni 10 mila abitanti, il doppio della media nazionale e più di tutte le regioni del Mezzogiorno. I siti a gestione pubblica sono la componente più consistente rispetto a ogni altra regione e rappresentano l'81% del totale; solo in Molise questa quota viene superata e arriva al 91%, mentre la media nazionale si attesta a 68%.

Eppure a questi incoraggianti numeri, che inseriscono la Sardegna ai vertici nazional i, il riscontro dei visitatori è negativo con una media di tremila all’anno, il valore più basso tra tutte le regioni. Dunque, c’è ancora molto da lavorare per ottimizzare l’ampia offerta culturale e archeologica soprattutto nei borghi abbandonati o a rischio di abbandono.

© Riproduzione riservata