C i si continua a domandare se la Sardegna possieda le risorse e le capacità progettuali necessarie per mettere in atto una strategia capace di rimetterla in marcia e di superare l’arretramento economico ed il sommovimento sociale prodotti dalla congiuntura depressiva che l’opprime ormai da troppo tempo. Ancora: dispone di una classe dirigente – nella politica, nelle istituzioni, nell’impresa, nel sindacato, nella scuola, nelle professioni – che abbia le competenze e le esperienze indispensabili per affrontare questo difficile impegno?

Sono domande che, con la loro formulazione, denotano l’esistenza di forti perplessità più che di rassicuranti affidamenti. Anche perché le cronache denunciano l’assenza di una qualsivoglia visione strategica che indichi quale futuro s’intenda proporre per la nostra regione. Non ci si confronta più sulle scelte per un domani che sia “in progress”, mentre ci si scontra sui rimedi da dare, o da ottenere, per i guai del passato. Non appare neppure facile individuare quali scelte s’intendano effettuare per ridare crescita al sistema produttivo: se si preferisca privilegiare campi o fabbriche, lavorazioni tradizionali od innovative e high-tech, e così via.

A ltrettanto potrebbe dirsi per la transizione energetica, se affidarsi al sole e al vento oppure all’idrogeno verde per sconfiggere l’inquinamento da Co2; così come se la continuità territoriale aerea la si voglia “erga omnes” come nelle Baleari, oppure selettiva, come attuata in Corsica.

Una delle ragioni più convincenti la si individua nell’assenza di una cultura dello sviluppo, qui intesa come l’insieme dei valori fondanti la società contemporanea e la padronanza dei saperi e delle esperienze necessarie per produrre progresso. Perché senza cultura non si forma, né si afferma, un’efficace politica dello sviluppo. C’è dunque un’altra domanda che si intende formulare: ma c’è fra le classi dirigenti isolane un insieme di capacità per formulare ed attuare una politica dello sviluppo che si coniughi con progresso e benessere?

Anche questo quesito produce più perplessità che asserzioni. Proprio per la presenza di quel male oscuro che ha minato la preparazione e l’efficienza, nella guida e nel gestire, delle élite oggi al comando. A causa anche del fatto che paiono del tutto scomparse le modalità che permettano la loro individuazione e selezione. Ad iniziare proprio dal personale della politica.

I partiti del secolo scorso organizzavano vere e proprie scuole di preparazione per i propri iscritti che iniziavano la loro carriera politica negli organismi locali (sezioni di partito, consigli comunali, enti pubblici o amministrazioni locali) dove gradualmente avanzavano nella via gerarchica, per assumere delle responsabilità maggiori in consessi più importanti, regionali e nazionali. Perché la politica non ha dei sussidiari o dei “manuali Hoepli” d’istruzione pratica, ma è fatta di sensibilità, di conoscenze, di verifiche e di sintesi operative, misurate sul campo ed in contatto con la gente. In una parola di esperienza, che è poi quel che manca a queste nostre attuali èlite.

Il risultato lo si riscontra in quella deriva amorale che ha ormai contagiato anche le stesse forze sociali ed economiche, tanto che ciascuno tira l’acqua al proprio mulino e ciò che ne consegue appare un sistema spartitorio che allontana e rende del tutto precarie, se non irraggiungibili, le prospettive sul futuro. Appare quindi sempre più condivisibile la causa di questo declino nella trasformazione delle classi dirigenti in un insieme di centri di potere, frammentati fra loro da interessi settoriali e corporativi, oltre che completamente autoreferenziali.

Per entrare più concretamente nell’attualità di casa nostra, non è facile capire se le ultime vicende, intervenute con il rinnovamento della Giunta regionale, riusciranno a ridare alla politica quell’auspicata ed attesa visione strategica verso il progresso ed il benessere, tanto attesa ed auspicata. Perché la Sardegna ha urgente necessità di rimettersi in marcia, senza più retrocedere. Quel che però servirebbe è il poter contare, al di là dei nuovi assessori, su di un'efficace infusione di cultura dello sviluppo, per consentire un ritorno alle capacità di saper guardare oltre il contingente, con un a visione aperta verso il futuro. Certo, non bisognerebbe lasciare sola ed isolata la classe politica, ma occorrerebbe accompagnarla concretamente con il contributo di quanti, nella società civile, sentano l’esigenza di doversi impegnare per assicurare a questa nostra piccola patria un domani che sia di serenità e di benessere per tutti. Lo si deve – occorre tenerlo a mente – per i nostri figli e nipoti.

Storico e scrittore

© Riproduzione riservata