P rima di diventare sinonimo di nuove speranze, Sos Enattos era il nome di una ferita aperta. A volte ce ne dimentichiamo perché, nell’affollata galleria dei disastri lasciati dalla crisi industriale in quest’Isola, altri simboli – Portovesme, Carbosulcis, Ottana – hanno avuto maggior fortuna nell’imporsi all’immaginario collettivo. Ma a Lula ricordano bene che, ancora nel non lontano 2014, una giornata di festa come la ricorrenza di Ognissanti vide un manipolo di ex minatori e dipendenti dell’Igea asserragliati nel pozzo della miniera, a ottanta metri di profondità.

V ittime volontarie del freddo e dei disagi, quei lavoratori reclamavano gli stipendi non percepiti da mesi, per un’attività che aveva preso il posto del loro impiego originario. Ma soprattutto volevano denunciare la vanità delle promesse di chi gli aveva parlato di riconversione.

Se adesso in quegli stessi luoghi è legittimo sognare un progetto inedito, che porterebbe la Sardegna all’avanguardia della ricerca mondiale, non è frutto del caso. Per una volta, le chiacchiere sulle prospettive post-industriali hanno lasciato spazio a un percorso fin qui virtuoso, in cui ciascuno ha fatto la sua parte: Regione, ministeri, enti locali, forze politiche. Oggi va di moda la retorica sul kintsugi, la tecnica giapponese che ripara con l’oro i vasi rotti, valorizzando le fratture della ceramica anziché nasconderle: ora, in una specie di kintsugi barbaricino, la ferita di Sos Enattos potrebbe essere rimarginata con un intervento capace di produrre occupazione e sviluppo di maggiore qualità rispetto a ciò che, in quel sito, si era perso.

È stato anche un caso, unico più che raro, di continuità amministrativa: la rincorsa all’Einstein Telescope è iniziata quasi sei anni fa sull’asse che univa la Giunta guidata da Francesco Pigliaru e il rettore dell’Università di Sassari Massimo Carpinelli, ma poi l’impegno – anche finanziario – è stato portato avanti dal governatore Christian Solinas e dagli altri interlocutori pubblici. Viene da chiedersi perché la classe dirigente sarda non mostri simile unità anche su altri temi chiave.

Sta di fatto che, almeno in questo caso, l’Isola sembra aver fatto quello che doveva. Adesso la palla passa ad altri, e ai sardi non resta che provare a fidarsi, come tante altre volte. Solo che spesso è finita male. Gli esperti ci hanno spiegato che, se nel campionato dell’Einstein Telescope contassero solo le caratteristiche del sito, Sos Enattos non avrebbe da temere alcun concorrente. E infatti, in una specie di playoff non dichiarato ma assai combattuto, il silenzio sismico delle profondità del Montalbo è bastato a stracciare ogni ipotesi di rivalità italiana (era sorto qualche timido interesse appenninico) e altre candidature europee, come quella ungherese.

Resta però da vincere la finale. E contro l’alleanza tra Germania, Olanda e Belgio, che propone la regione della Mosa, oltre alle qualità ambientali servirà la politica. Il presidente Solinas ieri ha detto che, con la candidatura di Lula, la Sardegna «diventa protagonista in Europa»: ma è un protagonismo affidato a terzi, perché purtroppo la Regione sarda non può esercitare un potere diretto in ambito comunitario. La partita decisiva su Et la giocherà lo Stato italiano: ed è confortante che tramite il governo abbia ribadito un sostegno convinto, ma è quello stesso Stato che fino all’altro ieri diceva sì all’invasione eolica a un passo dall’ex miniera, ostacolo insormontabile per il progetto. Quello stesso Stato che ha chiuso vari accordi sulle entrate con la Regione senza poi rispettarli; che lascia le strade di sua competenza nelle condizioni che cono sciamo; che non ha mai provato a scardinare il concetto europeo di aiuti statali in materia di continuità territoriale. Resta la speranza che, almeno stavolta, il «sostegno convinto» non sia solo di facciata: perché la Sardegna non sta chiedendo alcun favore, ma propone una via di sviluppo di enorme importanza per tutto il Paese.

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