N egli ultimi decenni, per influsso del corrispondente termine inglese, il vocabolo epistemologia viene sempre più usato per indicare lo studio del come noi arriviamo a conoscere quel che conosciamo, del come valutiamo le dichiarazioni altrui, di ciò che riteniamo autorevole oppure non credibile. Si va inoltre affermando il concetto di “hostile epistemology”, ovvero lo studio dei modi con i quali possono essere sfruttate le nostre vulnerabilità e debolezze cognitive. Sembrerebbe una discussione di sapore filosofico se non fosse che ormai si fa sempre più ricorso all’epistemologia ostile.

A d esempio per valutare i rischi dell’Intelligenza Artificiale, capace di fare una mappa accurata delle mancanze e delle fragilità del singolo che rivolga domande (e quindi, un domani, pronta a condizionarlo e controllarlo). Oppure per comprendere le ragioni di un’inflazione che i rialzi dei tassi non riescono a domare, prigionieri come siamo di credenze radicate per cui “quanto più spendo, meglio spendo”. Ancora, per progettare una nostra comunicazione vincente o, al contrario, spiegare il successo di una campagna che contrasti con la nostra opinione e volontà. Nella narrazione dominante, ad esempio, è palese che il vento di destra che sta attraversando l’Europa per giungere ultimamente persino in Molise sconfiggendo la santa alleanza tra Pd e 5 Stelle sia solo frutto di una epistemologia ostile che ottunde le menti deboli – il voto popolare è consapevole e maturo solamente quando ci dà ragione.

Tutto appare forse più comprensibile se ci si limita a concentrarsi sul concetto di manipolazione. Sorpresa: quest’ultima è più facile da realizzarsi in un panorama contraddistinto da una molteplicità di sorgenti di informazioni e da una grande velocità di erogazione. Semplicemente, la mente ha un limite di accettazione e di rincorsa, per cui finisce per appiattire tutto facendo filtrare solo i messaggi che la confortano, quelli di auto-conferma delle proprie convinzioni. La manipolazione cognitiva tende dunque a chiudere l’individuo in una bolla dalla quale egli non possa percepire se non come rumore di fondo gli altri di fuori, peraltro non degni di fiducia.

La propaganda bellica, oggi la più sofisticata (è anch’essa un’arma), esaspera l’obiettivo di manipolazione. Il martellamento avviene su due fronti: la distruzione sistematica della credibilità dell’avversario; l’esaltazione della propria immagine, cui fa agio il ricorso a valori indiscutibili quali la libertà e la democrazia, e una colonna sonora accattivante fatta di testimoni diversi ma convergenti nello sposare la causa.

Il pensiero unico, tassativo in guerra, viene utilizzato peraltro ormai diffusamente in politica interna: l’abbattimento scientifico dell’avversario, così come la cancellazione di ogni dissenso sui grandi temi socio-politici è diventato una pratica comune, sostenuta da quelle che in inglese vengono chiamate “supporting structures”, la stampa asservita, la magistratura d’assalto, la finanza di scopo, i movimenti pilotati ad hoc, eccetera. Tutto questo porta a un sistema, come ad esempio quello culturale in vigore, che si auto-rinforza: chiunque voglia farsi udire è costretto ad accettarlo nella sua interezza, altrimenti viene rigettato e marginalizzato. Dimenticando la comprensione, il dialogo e l’approfondimento, le peggiori forme di convivenza, o diciamolo, di ricerca di sopraffazione, emergono dalla spinta di un mondo assolutista, di verità unica, in cui visioni quasi esoteriche (la transizione ecologica, l’Europa unita, i diritti universali) si mischiano con affermazioni pseudo-religiose quali la trasparenza dei mercati e la solidità delle istit uzioni, le bancarie in primis, e col cieco sostegno a miti che ormai, anche per ragioni d’età, mostrano la corda, vedasi Joe Biden e gli Usa. Fateci caso: gli avversari sono sempre divisi, in crisi e per definizione cattivi; noi angeli assediati dal male. Dobbiamo difenderci, vivaddio.

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