V errebbe da inserirli nella folta lista di giovani che non studiano e non lavorano. Invece si scopre che in tanti li considerano lavoratori veri, perfino da invidiare: con poco sforzo incassano anche tremila euro al giorno. Ditelo ai neolaureati che trovano contratti per meno della metà, al mese però. Si facevano chiamare The Borderline (e chissà se erano consapevoli del riferimento alla malattia mentale) e ora hanno interrotto le pubblicazioni su YouTube ma, c’è da giurarci: fino allo schianto di Casal Palocco i loro genitori erano più che orgogliosi.

N e abbiamo visto uno, sorriso e capelli al vento, al volante di una Ferrari scoperta che aveva appena baciato, mentre il figlio faceva il video. Altro che neet, choosy e nullafacenti. Sono vincenti, belli, ricchi e famosi sul web, forti dei 600 mila iscritti al loro canale. C’è voluto un incidente stradale tremendo, con la morte di un bambino di cinque anni, Manuel, per accendere un faro sulle challenge: gli youtuber lanciano sfide che di estremo hanno poco, di banale tanto, di raccapricciante quanto basta. Resistono a favore di microcamera legati con i topi sulla pelle nuda, vivono per giorni in una scatola di cartone, si lanciano nel ghiaccio, stanno dritti come fusi con i serpenti sulle spalle, bevono tanto e non vanno in bagno. Mentre esibiscono in queste mirabilie della deficienza i coetanei li guardano, e loro incassano.

Ora, al di là dell’incidente di cui sappiamo poco – velocità, precedenza, droghe – di certo non sono usciti per uccidere e dopo il piccolo Manuel e la sua famiglia sono le prime vittime di se stessi. Però: stare chiusi in una macchina per 50 ore, che sfida è? E chi li guarda, a cosa si appassiona? Ecco: chi li guarda. Un’intera generazione passa il tempo a osservare video senza senso. Il brutto è che a questo non senso la nostra società decadente dà un valore economico. La Sony sponsorizza, gli inserzionisti pagano e gli utenti pensano che sia tutto gratis invece sono loro il prezzo di tutto questo: vengono profilati, l’algoritmo li bombarda con pubblicità mirate e, senza rendersene conto, non sono più in grado di scegliere neppure il colore delle mutande. Non solo armi di incretinimento di massa, dunque, ma vere e proprie manipolazioni del pensiero, che in un attimo possono arrivare alla politica e alla geo politica.

La realtà è fatta dunque di schiere di giovani che inseguono ragazzini alle prese con sfide che non lo sono e talvolta ci lasciano pure le penne: è recentissima la notizia del giovane che si è tuffato nel fiume là dove era vietato per farsi filmare contro corrente ed è stato ripescato dopo lunghe ricerche. Morto. Il virtuale è sfociato nel reale. Spiegava Massimo Recalcati che confondere il reale col virtuale in psicanalisi si chiama allucinazione. Domanda obbligatoria: abbiamo davanti una generazione di ragazzi allucinati? Il caso ha voluto che insieme alle cronache di Casal Palocco e la morte del ragazzo nel fiume ci sia stato spazio per quattro fratellini, fra gli undici anni e gli undici mesi, sopravvissuti per 40 giorni nella giungla dopo lo schianto dell’aereo su cui viaggiavano con la madre. Vera sfida, per la vita: vinta grazie non alla geolocalizzazione garantita dal cellulare ma agli insegnamenti di nonni e genitori. Quesito volutamente cattivo: gli youtuber e chi li guarda come reagirebbero davanti a sfide vere? Per loro il pericolo è solo quello virtuale che creano per girare i video da postare sui social e fare incetta di like che si traducono in soldi? Fa accapponare la pelle il fatto che dopo l’incidente hanno continuato a moltiplicarsi i seguaci, raddoppiati in poc he ore. Mentre i genitori si affrettavano a spiegare che era solo una bravata e che tutto sarebbe andato a posto con un po’ di soldi ai familiari del bimbo morto. Ecco, forse siamo arrivati al dunque: le famiglie, l’educazione, la scuola. Se il problema grosso fosse qui?

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