L o scorso dicembre, la Corte costituzionale tedesca ha respinto il ricorso sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, noto anche come Fondo salva-stati. Il ricorso era stato intentato da alcuni deputati liberali tedeschi per impedirne la ratifica in Germania. La decisione ha quindi spianato la strada al nuovo trattato non solo a Berlino, ma anche a Roma. La Germania era infatti l’altro Paese dell’Eurozona, insieme all’Italia, a non avere ancora ratificato la riforma del Fondo e il nostro governo era in attesa proprio della pronuncia della Corte di Karlsruhe prima di dare la sua adesione definitiva in Parlamento. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, al suo primo Ecofin agli inizi di ottobre, aveva infatti detto che l’Italia aspettava per la ratifica le mosse della Germania.

Si tratta dunque di un passo importante che ora apre la strada all’approvazione definitiva da parte di entrambi i Paesi. Tuttavia, in Italia, sia la Lega, sia Fratelli d’Italia non fanno mistero di avere ancora riserve.

In passato, vari Paesi europei, tra cui Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia, sono stati aiutati a superare le rispettive crisi economiche dal Fondo europeo di stabilità finanziaria, che era l’antesignano del Mes.

L ’assistenza finanziaria, ad esempio nel caso del salvataggio della Grecia, era stata offerta sulla base di una rigorosa condizionalità politica nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico e di un’analisi della sostenibilità del debito pubblico effettuata dalla Commissione Ue insieme al Fondo monetario internazionale (Fmi) e alla Banca centrale europea (Bce). Si tratta della cosiddetta “Troika”, che è il termine giornalistico con il quale si fa riferimento al controllo del Paese assistito da parte di queste tre istituzioni.

Il timore di chi oggi in Italia è ancora diffidente verso il Mes è che il suo utilizzo presupponga l’arrivo automatico della Troika, come è accaduto alla Grecia. Ma le regole del nuovo Mes sono diverse e l’accesso al credito è disponibile con termini standardizzati concordati in precedenza. Questa modalità di accesso al nuovo Mes costituisce una differenza importante rispetto al passato. Inoltre, in merito al timore che la riforma possa aumentare la probabilità di un default sovrano, è stata la stessa Banca d’Italia a chiarire che ciò non è vero e che la probabilità di default di un Paese dipende innanzitutto dalle politiche economiche messe in atto dal suo governo.

L’impegno per la ratifica del nuovo trattato Mes fu preso a gennaio 2021 dal secondo governo Conte. La riforma trasforma il Mes da strumento di assistenza a Stati in difficoltà in uno anche di supporto nelle crisi bancarie, un passaggio fondamentale per completare l’Unione bancaria. La riforma prevede infatti che il nuovo Mes assuma la funzione di «backstop» (paracadute finale) del fondo di risoluzione unico delle banche: una linea di credito da 70 miliardi, a cui i Paesi potranno accedere se i loro fondi nazionali per le risoluzioni bancarie non fossero sufficienti.

La riforma del Mes continua tuttavia a suscitare riserve in Italia: «non è il grande tema», ha dichiarato la presidente Giorgia Meloni, aggiungendo che «finché io conto qualcosa, l’Italia non accederà al Mes, lo posso firmare col sangue». La premier ha inoltre voluto ribadire che «il Mes non è stato mai utilizzato da nessuno. Per due ragioni, perché le condizionalità sono troppo stringenti e perché il Mes è un creditore privilegiato, ovvero quando io prendo i soldi dal Mes è il primo a cui li devo restituire e questo comporta un problema sui titoli di stato, fa alzare i tassi». La domanda che si pone la premier, pertanto, è: possiamo renderlo utile?

Il dibattito è aperto, ma non deve essere una scusa per ritardare ancora la ratifica in Parlamento del nuovo trattato Mes, che serve proprio a rinforzare la convinzione dei mercati che il Mes funziona bene anche per l’Italia proprio perché non abbiamo bisogno di ricorrervi.

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