I l Parlamento europeo ha votato a larghissima maggioranza una risoluzione non legislativa in cui gli eurodeputati hanno invitato la Commissione e il Consiglio a non cedere alle pressioni dell’Ungheria che sta sistematicamente bloccando varie decisioni importanti dell’Unione. La risoluzione impegna gli organi comunitari ad adottare le misure contenute nel meccanismo sulla condizionalità dello Stato di diritto.

U n meccanismo che prevede il congelamento dei fondi Ue se un Paese mette in pericolo il bilancio comunitario. Il governo ungherese guidato da Viktor Orbán è accusato di aver usato i fondi comunitari per arricchire i suoi sostenitori e perciò di aver messo a repentaglio le istituzioni democratiche del Paese, arrecando in tal modo un danno all’intero bilancio europeo. La Commissione, se il governo di Budapest non dovesse adeguarsi, è intenzionata a congelare 7,5 miliardi di euro di finanziamenti destinati all’Ungheria, pari al 5% del Pil del Paese. È la prima volta che l’esecutivo di Ursula von der Leyen decide di attivare le sanzioni previste dal meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto, che è stato introdotto nel 2021 per contrastare i comportamenti devianti posti in essere dai singoli Stati. Ora i Paesi membri avranno tre mesi di tempo per decidere se autorizzare o meno le sanzioni.

Lo scontro tra Bruxelles e Budapest era stato innescato negli ultimi anni dall’approvazione ungherese di alcune leggi discriminatorie e contrarie allo stato di diritto, che secondo la Commissione compromettono l’uso e la gestione dei finanziamenti europei e, allo stesso tempo, mettono in pericolo il bilancio comunitario. La decisione del taglio di fondi segue, a sua volta, un’altra risoluzione del Parlamento europeo in cui l’Ungheria era già stata descritta come “un’autocrazia elettorale” in grado di porre una “minaccia sistemica” ai valori fondativi dell’Unione europea.

L’Ungheria, dunque, rischia di perdere 7,5 miliardi di euro di fondi strutturali. Già a settembre scorso la Commissione, nell’ambito del meccanismo sulla condizionalità dello Stato di diritto avviato per la prima volta nei confronti di uno Stato Ue, aveva proposto il congelamento del 65% dei fondi ungheresi se Budapest non si fosse impegnata ad attuare 17 misure correttive entro il 19 settembre, tra cui l’istituzione di un’autorità indipendente anticorruzione, una riforma degli appalti e altre misure per contrastare la corruzione. Secondo la Commissione, i requisiti non sono stati soddisfatti. Perciò, il Parlamento Ue è stato ancora più severo della stessa Commissione. Per gli eurodeputati le misure adottate da Budapest «non sono sufficienti ad affrontare il rischio sistemico per gli interessi finanziari dell’Ue», anche se venissero attuate completamente. Hanno quindi criticato la Commissione perché ha agito «dopo un lungo ritardo e con un campo di applicazione troppo limitato».

La competenza ora passa al Consiglio Ue dei ministri finanziari, a cui la Commissione dovrà trasmettere il suo giudizio. L’intero dossier potrebbe arrivare sul tavolo dell’Ecofin del 6 dicembre, ma quest’ultimo in ogni caso ha tempo fino al 19 dicembre per esprimersi. La decisione sarà a maggioranza qualificata: in questo caso serve il sì di almeno quindici Paesi in rappresentanza del 55% della popolazione dell’Unione. La minoranza di blocco è rappresentata da almeno quattro Paesi, pari al 35% della popolazione. Il gruppo dei paesi di Visegrad è formato da Ungheria, Polonia, Slovacchi a e Repubblica Ceca, che attualmente è presidente di turno. Quindi il voto al Parlamento Ue dei partiti della maggioranza di governo apre un interrogativo su come si comporterà il nostro Paese all’Ecofin. A seconda di cosa decideranno gli altri Paesi, il voto dell’Italia potrebbe essere o meno decisivo. Perciò il governo, dove convivono diverse posizioni tra cui anche quelle spesso critiche verso l’Ue, dovrà schierarsi con o al di fuori dell’asse europeista.

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