I fatti separati dalle opinioni: era, una volta, un precetto del buon giornalismo. Oggi le opinioni sono spesso separate dai fatti, è una constatazione circa il modo in cui si forma l’opinione pubblica. A intervalli regolari partono degli hype: alcune interpretazioni della realtà cominciano a fare clamore, sedimentano nel senso comune, diventano cose che le persone dabbene non possono non pensare. In questi giorni, il canovaccio è il ritorno del populismo. Geert Wilders ha ottenuto un importante successo elettorale in Olanda.

W ilders manifesta posizioni anti-islamiche e anti-immigrazione ma, siccome siamo nei Paesi Bassi, la culla del liberalismo continentale, esse rappresentano una interpretazione (senz’altro discutibile) della difesa della società aperta. Il successo di Wilders arriva dopo la straordinaria vittoria elettorale di Javier Milei in Argentina. Milei è un personaggio folcloristico, che sa toccare tutti i tasti della comunicazione politica contemporanea. Mette volentieri in piazza il suo privato, semplifica il suo messaggio a misura di Instagram, frequenta le televisioni e conquista l’attenzione del pubblico con gesti eclatanti. I leader politici di successo, oggi, comunicano così. Può non piacere, ma purtroppo indietro non si torna. Ma attenzionme, Milei vince le elezioni contro i populisti veri: i peronisti, che sull’Argentina hanno una presa fortissima e che persino negli ultimi mesi hanno moltiplicato le spese per cercare di consolidare il proprio consenso. Le riforme annunciate da Milei, e che saranno difficilissime da realizzare, sono fortemente anti-populiste: il senso di marcia della sua amministrazione è nella direzione della riduzione della spesa pubblica clientelare.

Il sistema elettorale olandese fa sì che Wilders, per diventare primo ministro, debba trovare alleanze con altri partiti. Dovrà quindi versare dell’acqua nel proprio vino oppure lasciare spazio a un governo di coalizione dei suoi avversari. In ogni caso, non è diventato nottetempo dittatore d’Olanda. I Paesi Bassi hanno una tradizione più prudente, in tema di finanza pubblica, di buona parte d’Europa per non dire, ovviamente, dell’Argentina. È improbabile che Wilders possa cambiare direzione.

Il populismo è, certamente, uno stile politico. Chiamiamo populisti i politici che non sanno usare coltello e forchetta. In questo senso Wilders e Milei sono populisti, ma populisti sono pure molti altri leader contemporanei, forse non tutti ma poco ci manca. Il populismo è poi una retorica imperniata sull’invenzione di un “popolo” autentico, da difendere dalle contaminazioni e da influenze “esterne”. In questo senso Wilders è populista, ma l’internazionalista e filoamericano Milei non lo è di certo. Da ultimo, quel che più conta, il populismo è un insieme di proposte che fanno leva su un uso generoso della spesa pubblica, sulla preferenza per lo Stato e la politica industriale contro il mercato e la concorrenza, il tutto possibilmente finanziato a debito. Chi sono, sotto questo profilo, i veri populisti? Sono paradossalmente coloro che si presentano come anti-populisti, ma che negli anni hanno di fatto adottato le stesse ricette economiche proposte da quegli avversari contro i quali dovevano essere un baluardo. Populista è chi ha costruito una narrazione pubblica per cui NextGenerationEU e il Pnrr erano la manna dal cielo e avrebbero curato tutti i guai del nostro Paese: senza investire capitale politico su quelle che riforme che avrebbero dovuto, teoricamente, accompagnare i fondi europei. Populista è chi ha sdoganato il debito pubblico e non perde occasione per a bbaiare contro regole fiscali che governino il ricorso all’indebitamento.

È veramente difficile sostenere che il populismo sia “tornato” questa settimana. Non se n’era mai andato, si era solo messo la cravatta.

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