A ll’inizio degli anni ’90 ho avuto l’opportunità di usare uno dei “motori inferenziali” che l’IBM concedeva in comodato d’uso a un selezionato numero di aziende italiane. Un motore inferenziale è un insieme di programmi software basati su algoritmi che simulano le modalità con cui la mente umana arriva a trarre conclusioni logiche attraverso un certo ragionamento. Fa parte dei cosiddetti “sistemi esperti”, ma al comportamento logico aggiunge la capacità di trarre delle conclusioni di tipo deduttivo e induttivo. Siamo ben oltre i risultati di un semplice algoritmo matematico.

I l meccanismo del motore inferenziale è basato su “regole di soluzione” del problema che vengono scelte e attuate a seconda del problema in oggetto. È importante sapere che un motore inferenziale comprende un interprete che decide la regola da applicare; uno schedulatore che decide l’ordine di esecuzione delle regole; una memoria di lavoro in cui vengono memorizzate le operazioni svolte e da svolgere, i dati, i risultati, ecc.; un rafforzatore di consistenza che ha il compito di testare la veridicità delle ipotesi fatte e di dare suggerimenti consequenziali di modifica. Banalizzando il ragionamento, un motore inferenziale istruito svolge dunque il lavoro di quattro esperti.

Nell’azienda di filati di Prato con la quale collaboravamo abbiamo “educato” il motore inferenziale alle previsioni di vendita di centinaia di prodotti diversi e delle loro varianti in termini di stagione, tipo, peso e colore, un vero incubo di programmazione, utilizzando tutti gli esperti aziendali e i dati delle vendite degli ultimi sei anni. Il settimo anno, quello allora appena concluso e con i dati di vendita certificati, l’avevamo tenuto per noi. Dopo la laboriosa istruzione abbiamo richiesto al motore inferenziale le previsioni di vendita del settimo anno, per provarne le capacità. Bene, i dati ottenuti hanno rispecchiato le vendite reali con una precisione inquietante, dell’ordine del chilogrammo di filato. Più chiaramente: se di un certo filato di un certo tipo e di una certa grammatura e colore erano stati venduti 1.250 kg, le previsioni del motore inferenziale avevano indicato un numero tra 1.249 e 1.251 kg – spaventoso.

Gli americani avevano in seguito ritirato dal mercato per oltre un decennio i motori inferenziali in quanto considerati armi strategiche, poi avevano riaperto con cautela i risultati delle loro ricerche, seguite da diversi Paesi nel mondo che hanno fatto da ulteriore pungolo e acceleratore. E da allora sono passati trent’anni: lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ha compiuto passi da gigante soprattutto in termini di apprendimento. Perché la caratteristica precipua di una AI è proprio il sistema neuronale sempre più sofisticato e autonomo di apprendimento.

Pertanto, leggere i commenti sull’intelligenza artificiale oggi di moda, Chat GPT, un’applicazione di “modelli del linguaggio” risalenti al 2003, nutrita con banche dati generaliste e data in pasto a 100 milioni di persone che possono utilizzarla per ricerche personali più immediate, conversazionali e sintetiche rispetto a quanto ottenibile da Google, è disarmante.

Si continua infatti a riferirsi a semplici algoritmi senza considerare né le potenzialità induttive e deduttive che già differenziavano un motore inferenziale, né le tremende capacità di apprendimento. L’obsoleta Chat GPT (che usa comunque 175 miliardi di parametri diversi di apprendimento) è oggi migliore di ieri e sarà ancora migliore domani perché ogni secondo impara, anche dalle stesse nostre domande. Ci si consola pensando alla sensibilità umana, all’intuito, ai sentimenti, alla poesia, barriere c he limiterebbero l’utilizzo delle intelligenze artificiali, ma qual è la verità e il confine? Riflettiamo da questa angolatura: in quale percentuale il nostro lavoro – qualunque esso sia – è difendibile (oggi) e non potrebbe essere svolto da una AI specializzata, meno supponente di quanto siamo diventati? Chiudere un bilancio, ad esempio, richiede sentimenti? E chiediamoci anche perché Chat GPT è stata lanciata gratis, a disposizione di tutti: conosciamo un modo migliore per raccogliere dati sul mercato e dunque imparare? È meglio sposare la lunghezza d’onda della preoccupazione e dell’umiltà; di arroganza siamo morti già troppe volte.

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