L ’altro giorno un consigliere regionale piuttosto noto e, per così dire, istrionico, parlando in via amichevole (occasione in cui un politico dice la verità al contrario delle dichiarazioni ufficiali) ha sentenziato: «La legislatura è finita». Purtroppo ha ragione. È una verità sconfortante ma è una verità. Il Consiglio regionale della Sardegna corre verso il rinnovo e la sensazione che si ha è che nessuna delle grandi riforme strutturali di cui l’Isola ha bisogno sia andata in porto né ci andrà nei venti mesi che mancano al voto di febbraio 2024. Possibile? Possibilissimo.

La vita della Giunta regionale in queste ultime settimane, e chissà ancora per quanto tempo, è condizionata dal famoso (famigerato?) rimpasto. In bilico ci sono diversi assessori, da Gianni Chessa ad Anita Pili, da Quirico Sanna a Gabriella Murgia. Tanti sono stati messi sulla graticola, fatto che non aiuta certo gli assessori a lavorare al meglio delle loro possibilità. Ma il punto non è questo. La domanda è: perché il rimpasto?

Alcuni assessori sono stati inefficienti? Il governatore, con i poteri che gli sono stati conferiti, li sostituisca immediatamente per il bene della Giunta e della comunità. O il rimpasto è dettato dalla necessità di riequilibrare le forze all’interno della maggioranza? Se fosse così, non si capisce perché i rapporti di forza siamo cambiati. Ci sono state forse elezioni e non ce ne siamo accorti?

In poche parole, i motivi della verifica sono, almeno a me, ignoti.

E , comunque, risultano incomprensibili per i cittadini sardi che dai partiti si aspettano altro e non astruserie politiche. Intanto incombono le elezioni amministrative di giugno in 65 Comuni a sardi e le politiche di marzo 2023. I partiti sono in fibrillazione per le candidature. I posti sono maledettamente pochi a causa della sciagurata riduzione del numero dei parlamentari non accompagnata da una complessiva riforma istituzionale né da una legge elettorale che consenta rappresentatività e governabilità. Anche questo appuntamento sottrarrà attenzione al governo regionale. Fermo restando che Solinas ha escluso una sua candidatura al Parlamento, stiamo per entrare in una sorta di semestre bianco in attesa del voto nazionale.

Celebrato il rito delle elezioni politiche, ecco che si avvicineranno quelle regionali. A quel punto, addio ai buoni propositi. La necessità di difendere o conquistare un posto in Consiglio prevarrà su qualsiasi altra considerazione. Il rischio che si corre in questi casi è che ci siano innumerevoli decisioni orientate a creare consenso più che a risolvere gli annosi problemi della Sardegna.

Le grandi questioni resteranno insolute. È vero che il Centro di programmazione sta funzionando (le capacità del direttore generale Massimo Temussi non sono estranee a questa attività) ma c’è il rischio che tutto resti sulla carta. Non sarebbe una novità. La riforma sanitaria arranca, così come la riesumazione delle Province. Commissari da una e dall’altra parte, a conferma che tutto è rimasto a metà. Il nodo dei trasporti è ancora là, che minaccia il futuro sviluppo dell’Isola, le grandi crisi industriali sono tali e quali, l’agricoltura è una spina nel fianco e non il motore dell’economia come dovrebbe essere, della sanità è quasi inutile parlare. Non c’è più tempo per progetti di ampio respiro, l’obiettivo è già diventato un seggio nel parlamentino di via Roma. Un discorso che vale non solo per la maggioranza. La più grande forza di opposizione, il Partito democratico, è talmente dilaniato dalle divisioni interne da non essere riuscito a convocare il congresso regionale. A tale scopo è stato inviato da Roma un commissario che al momento non ne ha cavato piede. Un segnale preoccupante tanto più se si considera che, se venisse confermata la tradizione che dal 2004 in poi ha sempre visto l’alternanza al potere tra centrodestra e centrosinistra, il Pd potrebbe essere chiamato a governare.

Ultima, amara considerazione: la società sarda si è impoverita sul piano politico e culturale e un Consiglio regionale poco efficiente è lo specchio di questa società involuta. Le grandi spinte ideali appartengono al passato, e di queste ci sarebbe bisogno per far cambiare rotta alla nostra terra, bella e dannata.

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