P er una volta è difficile prendersela coi sondaggi: le indagini demoscopiche hanno sostanzialmente azzeccato, e con grande anticipo, l’esito delle elezioni di domenica scorsa. Perlomeno rispetto al quadro generale. Alcuni dettagli però erano rimasti sfocati. Proprio in quei dettagli si annidano le sfide più urgenti per il sistema politico. Che riguardano soprattutto Lega e Pd. Rispetto alla prima, i sondaggi davano per assodato un arretramento ma pochi ipotizzavano che sarebbe stata sotto la soglia psicologica del 10%.

A nche il Pd era dato perdente dai sondaggi ma la performance è stata peggiore delle attese. Non solo i democratici sono rimasti sotto il 20% ma oggi si ritrovano accerchiati: alla loro destra c'è una forza dichiaratamente riformista che in poche settimane ha raggiunto un più che decoroso 8% dei voti, a sinistra un Movimento Cinque Stelle che ormai di fronte a quegli elettori è più credibile di chi prima ha abbracciato l’agenda Draghi e poi rivendicato il reddito di cittadinanza (approvato dal governo gialloverde) come fosse cosa sua.Lega e Pd hanno in comune non solo la biforcazione interna, ciascuno dei due partiti ha un’ala più moderata e anche un’altra più arrabbiata, ma il fatto di essere partiti “territoriali” in crisi a casa propria. La Lega al Nord è stata doppiata da Fratelli d’Italia in Veneto e anche in Lombardia è stata pesantemente ridimensionata dal partito di Giorgia Meloni. Il Pd è stato superato dalla destra in Emilia e Toscana dove governa ininterrottamente dal dopoguerra.La forza delle istituzioni si vede da come riassorbono gli shock. Un po’ di memoria suggerirebbe che il Pd ha le carte in regola per reagire meglio alla batosta, per un motivo semplice. Le procedure per cambiare leadership sono, al suo interno, ben rodate e negli scorsi anni hanno già portato a un avvicendamento di segretari: Renzi, Zingaretti, Letta. In più c’è già chi affila le armi: una sinistra interna convinta che dal momento che al centro non si sfonda sia meglio giocare la carta della purezza ideologica.La Lega, al contrario, in quarant’anni di vita ha avuto solo due segretari, Bossi e Salvini (Maroni, fra l’uno e l’altro, rimase in carica un anno solo). Se ha introdotto la parola “federalismo” nella politica italiana, è tuttavia un partito fortemente accentrato, dove non muove foglia che il capo non voglia. Prima del tentativo di svolta “nazionale” che le ha impresso Matteo Salvini, la ragion d’essere della Lega era quella di rappresentare gli interessi del Nord del Paese. Lo ha fatto talora con più talora con meno efficacia, ma la stessa nascita di quelle che allora si chiamavano “le Leghe”, negli anni Ottanta, mise fine a un’anomalia: che, cioè, l’area più ricca e dinamica del Paese esprimesse poco o niente dal punto di vista della rappresentanza politica. Quell’esigenza non è tramontata. Lo stesso Movimento Cinque Stelle si è radicato al Sud, con Giuseppe Conte che si è imposto in qualche modo come portavoce delle regioni meridionali. I divari territoriali fanno parte della storia del nostro Paese e, salvo miracoli, non scompariranno negli anni a venire.Il Pd invece è frutto della fusione di due culture politiche, quella democristiana e quella comunista, mai completamente amalgamatesi. La “vocazione maggioritaria” in nome della quale lo battezzò Walter Veltroni si è persa da tempo. Il percorso del Pd è stato segnato da una parte da una vocazione “governista”: il partito è stato in maggioranza dal 2011 ad oggi, esclusa la breve parentesi del Conte 1. Senz’altro ha contato il senso di responsabilità e la proiezione europ eista, ma anche il fatto che, pescando voti essenzialmente nel pubblico impiego, essere al governo è precondizione per tutelare i propri elettori. A questa anima “governista”, allineata con la lunga esperienza amministrativa nel centro Italia, se ne sovrappone un’altra, sempre più “identitaria” e ingaggiata in quelle “guerre culturali” che sono il sale della politica contemporanea. Si tratta però di un’anima minoritaria e scollegata, per esempio, dalla tradizione cattolica e popolare che pure era parte del patto fondato del Pd.E adesso? I meccanismi di rinnovamento interno nel Pd sono ben oliati, nella Lega invece sono arrugginiti. Ma per la seconda è più facile capire quale è il suo spazio e chi sono gli elettori ai quali deve tornare a rivolgersi. Quella del Pd è invece una crisi d’identità, di cui l’esito elettorale è la conseguenza più che la causa.

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