N on esiste un luogo off limits per la politica. E se i social sono uno strumento di diffusione di idee, oltre che di un sacco di altre cose, la politica deve esserci. Pure su TikTok che soltanto in Italia è una (quasi) novità ma altrove è una tra le piattaforme più utilizzate.

Berlusconi, Renzi e Calenda sono solo gli ultimi leader ad aprire un account sul social cinese, Conte e Salvini lo hanno fatto da qualche tempo mentre il Pd ha preferito non personalizzare. E quasi tutti sono stati perlopiù sbeffeggiati. Addirittura una tiktoker da settecentomila follower lo ha detto chiaro in un video, diventato in un amen virale, manco a dirlo: “Non ci fate nulla qui”.

E perché mai? Se i diciottenni votano, ora pure per il Senato, e c’è chi propone di allargare la platea degli elettori a chi ha compiuto i sedici anni, perché non andare a cercarli là dove si incontrano, seppure virtualmente? A parte il fatto che su TikTok come su Twitter o Facebook non ci sono solo i ragazzini. Basta andare a dare uno sguardo: le scenette più o meno divertenti, più o meno volgari o insulse non hanno per protagonisti solo i minorenni. Anzi.

Ma, al di là di questo: perché chi balla tra le quattro mura di casa a favore di smartphone sul cavalletto o dà consigli su come superare o scoprire il tradimento del partner o mostra lo scherzo subìto dal migliore amico o denuncia il body shaming o il bullismo per non dire la violenza, il razzismo e le discriminazioni di genere, non dovrebbe essere interessato alle elezioni politiche?

P erché poi si dovrebbe distinguere un social dall’altro, come se una persona scegliesse una piattaforma e una soltanto per esprimersi e divertirsi? L’esperienza ci dice che non è così: si possono avere, e si hanno, account sui diversi social e li si usa e consulta senza fare troppe differenze.

Allora il problema non è TikTok. Si può parlare a chiunque da qualsiasi piazza, reale o virtuale. Non ci sono recinti, non ce ne devono essere, ci mancherebbe pure. Se una questione c’è è semmai legata al linguaggio, ma questo vale per i social come per i comizi. Per arrivare a convincere l’elettore della bontà della propria proposta bisogna saperlo fare, in un salotto televisivo come in un forum su un giornale, in un incontro pubblico come in un video.

Certo, l’ammiccamento giovanilista di leader anziani, che un diciottenne vede addirittura decrepiti, fa sorridere. Intanto però – stando al numero di visualizzazioni che non saranno voti ma in un clic hanno raggiunto 4 milioni di persone – i nostri politici non esitano a confrontarsi con un mezzo nuovo. Del resto, Berlusconi è sceso in campo con un suo classico, la barzelletta, Renzi ha ricordato i suoi trascorsi perfino da boy scout, Calenda ha sottolineato di non saper ballare e ha fatto quello che sa fare. Alla fine, insomma, ognuno è rimasto se stesso.

Spetterà a noi che il 25 settembre andremo a votare per un parlamento ridotto drasticamente nel numero dei suoi componenti, osservare e valutare. Anche ai ragazzi, che non leggono i giornali e forse non guardano neanche la televisione ma sicuramente usano i social e, se sono vere le statistiche, attraverso le piattaforme si informano.

Quando si parla di social il rischio, però, c’è, ed è un altro, serio, al limite del pericoloso, un tutt’uno con la profilazione degli utenti. Su questa strada siamo indietro rispetto, per esempio, agli Stati Uniti, ma un attimo e saremo al passo. Finchè i nostri leader ci metteranno la faccia per lanciare le loro idee li potremo dunque criticare o deridere o anche applaudire ma staremo al sicuro. Dovremo cominciare a preoccuparci nel momento in cui la politica decidesse di utilizzare tecniche di comunicazione che si avvicinano al marketing. Sistemi sofisticati possono arrivare alla manipolazione dei cervelli e delle coscienze, anche le più avvedute. Escludendo chi sai che ti vota e chi sicuramente non ti vota, si potrebbe concentrare la comunicazione su chi ti potrebbe votare: i nostri like e le nostre condivisioni sui temi più svariati saranno usati per personalizzare il messaggio politico e a ognuno di noi arriverà quello che vogliamo vedere e sentire. Senza dimenticare che dietro ogni messaggio con i suoi like e le condivisioni c’è un meccanismo che fa girare denaro, molto denaro: qualcuno immagazzina i dati dei social, li tratta, li profila, li vende e ci guadagna. Mentre noi mandiamo cuori. Meditiamo, gente, meditiamo.

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