I l giorno dopo la chiusura apparente del “caso Giambruno” la maggioranza trema e balla, a partire dal dibattito sulla Finanziaria. Se si vuole capire perché bisogna provare a immaginare cosa è accaduto davvero. E soprattutto cosa potrebbe accadere adesso. Il primo punto politico è che l’annuncio pubblico della fine della relazione è stato percepito in modo opposto dalle parti in campo: da Antonio Ricci (e quindi dal mondo Mediaset) come se fosse uno straordinario successo giornalistico, un balsamo corroborante, che viene raccontato dal protagonista come una battaglia vinta.

D a Giorgia Meloni e dal mondo di Fratelli d’Italia - lo abbiamo raccontato la settimana scorsa - come un drammatico sacrifico personale compiuto nel nome della ragione di Stato. Non sono due punti di vista - come è evidente - minimamente conciliabili. E le conseguenze di questo terremoto sono subito apparse plasticamente evidenti quando i mercati hanno visto precipitare in borsa il titolo di Mediaset. Sei punti in meno per effetto di un annuncio privato a mezzo social: la prova lampante che persino la Borsa ha avvertito l’ombra di un conflitto di interesse nell’operazione che ha colpito la presidente del Consiglio.

Dietro la figura della Meloni, dunque, c’è il sentimento del mondo della destra. E dietro il mondo di Mediaset c’è l’interfaccia politica di Forza Italia: in mezzo ci sono gli equilibri di governo e il cammino difficile della manovra in tempo di ristrettezze, Davanti c’è il traguardo più difficile: le elezioni europee che ridisegneranno gli equilibri e i rapporti di forza della maggioranza di governo. Non serve un esperto di politologia per capire che per il centrodestra è un percorso ad ostacoli complesso paragonabile all’attraversamento di un campo minato. I primi segnali sono arrivati subito: il crollo dell’accordo sulla prescrizione, le polemiche sull’innalzamento al tetto degli spot della Rai, le parole di un capogruppo di Fratelli d’Italia che dice: “È stato il bis di quello che è accaduto con la Tulliani ai tempi della crisi tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini”.

E a tutto questo quadro, si aggiunge anche l’unico soggetto che era fuori dal caso Giambruno, la Lega. Gli uomini di Matteo Salvini sono stati subito colpiti dal valzer delle bozze della manovra, quando ha iniziato ad essere chiaro a tutti l’aspetto che per il Carroccio è il più venefico e potenzialmente pericoloso, soprattutto in vista del voto: dopo mille taglia e cuci e durissimi compromessi con la arcigna supervisione della Ragioneria dello Stato, l’ultimo testo sulle pensioni arrivato in aula era tecnicamente peggiorativo addirittura rispetto alla legge Fornero. E dunque per Salvini, che sotto casa della ministra organizzò addirittura un sit in con megafono, ha puntato i piedi sul tavolo, perché ha capito che per lui un testo di questo tipo, con il compromesso di quota 103 e mezzo, e coefficienti peggiorativi che penalizzavano tutti i trattamenti era l’equivalente di un suicidio.

Ma se si guarda ai tre alleati, si scopre che tutti, nelle bozze di questa manovra avevano uno scheletro nell’armadio: per la Lega le pensioni, per Fratelli d’Italia l’aumento delle imposte su tutti i prodotti per la natalità (a cui va aggiunta l’IVA per gli assorbenti, che fu una battaglia qualificante della Meloni ai tempi della sua opposizione solitaria e vincente).

In conclusione: è come entrare nel campo minato, ed entrarci, per giunta, bendati. Tutto questo in uno scenario di guerra che raddoppia la dimensione del rischio escalation, proprio mente la Meloni si ritaglia un ruolo di protagonista sulla scena internazionale. Urge un casco blu, o uno smin atore di ordigni politici.

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