D ovremmo chiederci cosa possiamo fare concretamente per ridurre il numero dei cittadini che cercano negli ospedali pubblici e nelle strutture sanitarie private le risposte ai loro insoluti problemi di salute. La risposta non è difficile, ma è il tempo che manca per modificare il sistema.

Bisogna far arrivare alla medicina ospedaliera solo i pazienti che hanno bisogno di cure complesse gestite da specialisti con esperienza e studi approfonditi. Chi non rientra in questa categoria deve trovare risposte prima dell’ospedale. La Spagna, da almeno 15 anni, ha sperimentato i “Pronto Soccorso” ambulatoriali per dare risposte ai cosiddetti codici bianchi e verdi. Questa esperienza ha dato buoni frutti. Ma in queste strutture servono ugualmente medici con grande esperienza e competenze in medicina d’urgenza con un piccolo laboratorio e capacità di eseguire valutazioni e diagnosi ecografiche.

Nelle attuali guardie mediche siamo molto lontani da questi pur modesti livelli. Se vogliamo avere ambulatori di comunità nel territorio dobbiamo mettere dei punti fermi per dare un vero presidio che riduca i flussi verso gli ospedali. Tornando al grosso della popolazione è lì dove tutto nasce ed è il nodo di tutto.

C onosciamo le cause delle moderne epidemie, le malattie cardiovascolari ed i tumori: l’ipertensione, il diabete, l’obesità, l’inquinamento ambientale, il fumo, le tossico dipendenze. Certo sappiamo, abbiamo molti mezzi per trattare queste epidemie, ma perché nessuno sforzo sociale viene fatto per prevenirle? Questo è un campo vago nel quale occorre investire potenziando la medicina di comunità con lo scopo di costruire una mappa della salute dei cittadini. Non ci sono scorciatoie per raggiungere i cittadini. La telemedicina viene buttata lì come la capacità di diagnosticare e curare le malattie a distanza. Non è proprio così. Si possono leggere le 40 pagine delle “Linee di indirizzo nazionali”, del Ministero della Salute per capirne gli ambiti per ora molto complessi. Ma anche per capire che la strada da percorrere è grande prima di poter capire quali cure e quali diagnosi si possono portare a casa del paziente. Intanto possiamo parlare delle realtà su cui possiamo contare, ma che per noi sono ancora un miraggio. L’app Lifelens su smartphone è molto semplice e utile. In un villaggio africano un giovane ha febbre alta. Una goccia di sangue del suo dito viene messa su un vetrino e colorata per mettere in evidenza il parassita malarico. Quindi si scatta una foto con uno smartphone dotato di lenti per ingrandire di 360 volte il campo. Una volta identificato il parassita, Lifelens manda le immagini al centro di riferimento inviando anche le coordinate agli operatori sanitari, anche per avere una mappa della diffusione della malaria. Questo in Africa. Vicino a noi Israele. Tutti i cardiopatici hanno a disposizione un elettrocardiografo per fare un ECG ed un piccolo dispositivo per determinare il valore degli enzimi del sangue che aumentano se un infarto del miocardio è in atto. In automatico questi due esami vengono mandati all’ospedale di riferimento che manda rapidamente un’ambulanza per il ricovero e consente di iniziare la terapia per l’infarto. Negli Stati Uniti la mole degli esami radiologici ha messo in crisi gli ospedali che si aspettano referti veloci e di qualità. La soluzione è stata inviare molti esami radiografici complessi a Bangalore, centro tecnologico dell’India, dove equipe di esperti radiologi referta, quasi online, gli esami per molti ospedali americani. Ecco un progetto da prendere in considerazione per dare esami di qualità a molti piccoli nostri ospedali periferici. Resta il punto della popolazione, in là con gli anni, che chiamiamo fragile. La Digital Health prossima aiuterà questa popolazione. Non dobbiamo però dimenticare che la patologia più importante è la solitudine per la quale servono affetti umani non solo fredde macchine.

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