Le alternative all’embargo
L a settimana scorsa è stato proposto dalla Commissione Ue l’embargo totale sulle importazioni di petrolio russo, da adottare gradualmente entro il 31 dicembre. La decisione costituisce la premessa per dare semaforo verde al sesto pacchetto di sanzioni europee contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina. La proposta aveva ottenuto il via libera da parte della Germania, il Paese su cui graveranno i maggiori effetti negativi. Il petrolio, infatti, pesa per circa il 35% nell’energy mix tedesco, che per il 35,2% dipende da quello russo.
T uttavia, la Germania ha garantito che avrebbe raggiunto l’indipendenza dal petrolio russo entro fine anno. È stato il ministro dell’Economia e del Clima, Robert Habeck, a garantire che la Germania non si sarebbe opposta a un embargo del petrolio russo, ritenendo tuttavia che sarebbe più ragionevole la ricerca di un’alternativa e spiegando che la sovranità energetica andrebbe riacquistata gradualmente per non essere ricattabili dai Paesi produttori.
Ungheria e Slovacchia, altri due Paesi molto dipendenti dal petrolio russo, avrebbero tempo sino alla fine del 2023, un anno in più, per dire addio al petrolio di Mosca. Budapest, tuttavia, ha subito respinto il piano di embargo perché «distruggerebbe completamente la sicurezza energetica del Paese», come ha spiegato il ministro degli Esteri Peter Szijjarto. Inoltre, anche la Bulgaria e la Repubblica Ceca hanno chiesto più tempo. Per l’Italia, invece, il petrolio rappresenta circa un terzo del suo energy mix, ma da Mosca ne importiamo solo il 17,4%. La dipendenza dell’Ungheria è invece totale, per cui Budapest rappresenta un’incognita: la proposta della Commissione, infatti, dovrà essere approvata all’unanimità dal Consiglio europeo.
Tra le ipotesi che erano state discusse nelle settimane scorse per ridurre i proventi del petrolio di Mosca c’era anche quella di fissare un tetto predeterminato al prezzo che l’Ue avrebbe potuto riconoscere ai produttori russi, insieme a quella di consentire l’applicazione di dazi all’importazione dei prodotti petroliferi. Perciò, non è da escludere in via definitiva che tale proposta sia del tutto tramontata. Anzi, secondo Federico Fubini sul Corriere della Sera, l’alternativa all’embargo totale è proprio quella di porre un limite massimo riconosciuto dall’Ue al prezzo del petrolio russo.
Un suggerimento in questa direzione era stato dato ai paesi europei dalla segretaria al Tesoro americano, Janet Yellen, in occasione del G7 dei ministri finanziari del 20-21 aprile scorso, tenutosi come appendice degli incontri di primavera del Fondo Monetario Internazionale. Invece di decretare un embargo sul petrolio russo – aveva suggerito la Yellen – Bruxelles potrebbe indicare «un tetto al suo prezzo massimo ben al di sotto delle quotazioni attuali». Ciò permetterebbe alle economie europee di controllare e abbassare i costi dell’energia e, allo stesso tempo, di ridurre anche le entrate di Mosca senza per questo tagliare le forniture.
Per rendere credibile questa proposta, la segretaria al Tesoro americano aveva offerto agli europei un sostegno speciale: «gli Stati Uniti avrebbero adottato lo stesso tetto al prezzo del greggio russo che sarebbe stato fissato in Europa e avrebbero fatto sapere a qualunque altro attore al mondo che l’acquisto di petrolio da Mosca a quotazioni superiori a quelle indicate a Bruxelles e Washington avrebbe dato luogo a sanzioni». In particolare, chi avesse pagato i barili russi più dell’Unione europea e degli Stati Uniti si sarebbe trovato tagliato fuori dal mercato americano.
La proposta di Yellen non fa molti progressi al G7 Finanze, anche perché erano assenti il ministro francese Bruno Le Maire e quello tedesco Christian Lindner. Si è arrivati così all’alternativa dell’embargo graduale nel tempo del petrolio russo dall’Europa. Ma la partita resta ancora aperta, perché la posta in gioco è enorme. Per quanto riguarda l’Italia, infine, il governo Draghi non perde occasione per ribadire la richiesta di un tetto comune europeo al prezzo del gas.
Università di Cagliari