M oriremo “Meloniani”? O meglio: quanto durerà il ciclo di governo dei Fratelli d’Italia?

Pensate solo per un momento all’ultimo decennio: un anno e spiccioli di Letta, due di Renzi, due di Gentiloni, due per il Conte gialloverde, due per il Conte giallorosso, uno e qualcosa per Draghi. La politica trita i suoi leader ad una velocità maggiore con cui si consuma il cambio gomme della vostra auto, le stagioni arrivano e passano alla velocità della luce.

Tuttavia non c’è dubbio che questo sia l’anno della guerra e della crisi, ma che per l’Italia sia anche e soprattutto “l’anno di Giorgia”, quello della destra al governo, l’avvento di un nuovo potere. E se guardo nel taccuino degli appunti della conferenza stampa di fine anno della presidente del Consiglio - tre ore e 45 domande, una piccola eroica maratona - trovo una frase con cui la Meloni, concedendosi un momento-verità, ci ha regalato una sorprendente sintesi, molto utile per capire dove stiamo andando: “Sento Draghi e mi fa piacere. Non m’è mai piaciuto vincere facile. Mi stimolano persone capaci e autorevoli - dice la leader di Fratelli d’Italia - e Draghi lo è. Voglio dimostrare che si può fare bene. Non voglio dire meglio, figuriamoci”.

P erò, perché no, dopotutto? Ci sono in questa frase, a ben vedere tutte le chiavi per capire come comincia la nuova stagione della politica a Palazzo Chigi: con la più sorprendente delle staffetta italiane. Quella della più fiera (e - ad eccezione di Nicola Fratoianni - unica) oppositrice del governo dell’ex presidente della Bce, che oggi si racconta non in conflitto, ma in continuità con lui. Il compromesso, il consenso, la continuità istituzionale sono dunque i binari su cui si viaggia, malgrado i comizi e i proclami della campagna elettorale, le bizze di Silvio Berlusconi, gli strappi di Matteo Salvini.

Ecco perché bisogna partire dal quadro d’insieme per provare a capire cosa sta accadendo. Il nuovo anno vede il partito di maggioranza relativa al 30%, quello che ha vinto le elezioni ormai gradito ad un italiano su tre. Vede l’inquilina di Palazzo Chigi superare il suo primo esame di governo, la manovra, avendo ereditato da Draghi l’imbastitura del vestito, e come abbiamo visto senza strappi.

E ci restituisce anche la fotografia di un Paese diviso: crescono i ricchi ma anche i poveri, molti si leccano ancora le ferite della pandemia e della crisi, altri sono ripartiti, ci sono mercati che esplodono, settori in piena occupazione (a partire dall’edilizia). Per questo mi ha colpito il modo in cui il governo ha “pattinato” nel percorso parlamentare della legge di bilancio: dentro i Bancomat, fuori i Bancomat, multe per i no vax cancellate, poi reinserite, taglio del reddito per recuperare soldi, ma anche finanziamento all’emendamento Lotito che regala 600 milioni di euro alla società calcistiche di serie A. E poi flat tax fino a 85 mila euro per gli autonomi, addio al bonus universale per i diciottenni, espansione del tetto ai contanti, piccole sanatorie, alcuni provvedimenti di buonsenso e altri opinabili.

Il sì definitivo dell’Aula al decreto Rave - il provvedimento bandiera - è arrivato ieri, con 183 voti a favore, 116 no, un astenuto: alle 17.30 Mattarella ha firmato la conversione in legge del decreto. Sono stati 73 i deputati che non hanno partecipato alla voto finale. Dai tabulati emergono 10 assenti su 21 del Terzo Polo (due erano in missione), 6 su 108 di Fratelli d’Italia, 13 su 44 di Forza Italia. Dunque i tredici deputati azzurri che non votano, in segno di protesta per le misure sanitarie sono un segnale di dissenso.

Ma il vero punto è un altro. Sembra che per ora esistano due racconti diversi e paralleli che si incrociano sullo stesso canale: da una lato c’è la la saga di “Giorgia”, che entra in luna di miele con il pezzo di Paese che l’ha votata, e con un altro frammento importante di elettorato che (pur non avendola votata) la osserva senza pregiudizio. Dall’altro lato, invece, c’è la sua maggioranza che litiga e balla, ogni tanto si perde qualche pezzo, talvolta si esibisce in spericolate “inversioni ad U”. Li aiuta una opposizione divisa e ancora senza leadership: i centristi che ogni tanto mandano messaggi d’amore al centrodestra, il Pd ancora in alto mare (a tre mesi dal voto!), il M5S in splendi do isolamento.

Quello che rende forte la Meloni, malgrado la fragilità della sua maggioranza, è l’irresolutezza dei suoi avversari. Sarà pure vero che all’ex combattente non piace “vincere facile”. Ma c’è da giurare che all’inquilina di Palazzo Chigi non dispiaccia. Mai come in questo tempo - direbbe Giulio Andreotti - il potere logora chi non ce l’ha.

Giornalista e autore televisivo

© Riproduzione riservata