“L ’Italia rischia di sprecare la manna del Pnrr”. È il titolo di un articolo comparso la settimana scorsa sul Financial Times, il quotidiano economico-finanziario più prestigioso della City di Londra. Non era la prima volta che questo giornale mandava ammonimenti simili ai governanti italiani, né era l’unico ad occuparsi dell’argomento, perché buona parte della stampa anglosassone che conta sui mercati, da Bloomberg all’Economist, è da tempo che batte sullo stesso tasto. L’analisi del FT esprime senza giri di parole un sentimento piuttosto diffuso tra gli osservatori e gli investitori internazionali.

G ià prima che l’Italia ricevesse la prima tranche del suo pacchetto di sovvenzioni e prestiti da 191,5 miliardi di euro nell’ambito del Pnrr, chiarisce il FT, «c’erano dubbi sulla sua capacità di utilizzare efficacemente la liquidità». Secondo il quotidiano londinese, Roma ha sempre speso poco e non è riuscita a fare buon uso dei fondi Ue. Al ritmo attuale, potrebbe finire per spendere solo un quarto della sua allocazione totale del Recovery entro la scadenza fissata da Bruxelles per la metà del 2026. Per un’economia che ha all’incirca le stesse dimensioni che aveva subito dopo la crisi finanziaria del 2008, con un debito pari al 144,4% del Pil, sarebbe un’enorme opportunità sprecata.

Viviamo, cioè, secondo il FT, il paradosso beffardo di avere a disposizione fondi enormi concepiti per aiutarci a superare una volta per tutte alcuni dei nostri difetti cronici, ma non riusciamo a spendere neanche questi fondi proprio a causa di quei difetti. Oltre a questo, c’è però una certa reticenza, diciamo pure una certa renitenza, sul piano della volontà di sciogliere nodi antichi: «Meloni vuole anche annacquare alcune riforme strutturali. Queste includono il miglioramento dell’efficienza del settore pubblico, la promozione della concorrenza (chiaro riferimento alla difesa di categorie come balneari e tassisti) e gli obiettivi di riduzione degli arretrati dei tribunali e dell’evasione fiscale».

Molte riforme sono state pensate per sostenere una maggiore crescita della produttività, che può contribuire a rendere il debito pubblico italiano più sostenibile. Rimaneggiare su queste promesse, secondo il FT, sarebbe un errore: la lunga incapacità dell’Italia di spendere e gestire i fondi europei deriva da molte delle sfide che le riforme cercano di affrontare.

Se la proroga chiesta da Roma per completare il piano non è proponibile, la revisione del piano è la cosa più sensata, sostiene il quotidiano inglese. Il governo Meloni ha già inviato a Bruxelles delle “correzioni” che eliminano alcuni investimenti pubblici, anche per il rinnovamento urbano, e reindirizzano i fondi verso le infrastrutture energetiche e i crediti d’imposta verdi per le imprese e le famiglie. Attenzione però: «Incanalare più spesa in queste aree attraverso il settore privato è ragionevole, ma la cancellazione di investimenti pubblici tanto necessari in infrastrutture fatiscenti sarebbe un colpo amaro».

La fatica che stiamo facendo a rispettare il calendario concordato con Bruxelles viene ricordata dal quotidiano inglese in modo impietoso: L’Italia doveva originariamente spendere poco più di 40 miliardi di euro entro la fine del 2022, «ma secondo Capital Economics (azienda inglese di ricerca economica) ne ha spesi meno del 60%». La maggior parte dei fondi è stata destinata agli incentivi fiscali per l’edilizia e la digitalizzazione, che hanno sostenuto l’economia italiana lo scorso anno. Ma la spesa per i progetti di investimento veri e propri è stata finora esigua.

In conclusione, il giornale inglese ne ha anche per Bruxelles: se va male il nostro Pnrr, avverte, va male tutto l’impianto del Recovery. Il cui successo si misurerà da Roma. Quindi «è nell’interesse di Bruxelles rielaborare il piano con l’Italia, che resta tuttavia la principale artefice del proprio destino».

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