L a diversificazione delle importazioni di energia rispetto alla situazione attuale è diventata un obiettivo prioritario del governo. Sinora, la Russia era preminente nelle importazioni di gas. L’Italia, l’anno scorso ha consumato 76 miliardi di metri cubi di gas, di cui 29 provenienti dalla Russia.

Il governo ha posto al centro della sua azione l'obiettivo di liberarsi il più possibile dal peso dei contratti con Mosca. Per conseguirlo è necessario entro l’inverno riempire gli stoccaggi per far fronte ai mesi freddi. Quindi attuare una strategia di medio-lungo periodo. Sin dai prossimi anni, il governo punta infatti a diversificare al massimo le fonti di gas. In linea con questa politica, sono già stati annunciati nuovi accordi di fornitura con l’Algeria, il Congo, l’Angola e il Mozambico, da cui l’Italia, se si conta anche il Qatar e l’Egitto, punterebbe ad ottenere circa il 50% dell'energia oggi fornita da Mosca entro il 2023, un terzo dall’Algeria e il resto da altri paesi.

Di recente, l’Eni ha firmato un accordo con British Petroleum Angola per una joint-venture di produzione di materie prime (petrolio, gas naturale e Lng, gas naturale liquefatto). Per le forniture di gas, l’Ente detiene già una quota del 13,6% di Angola Lng, la cui capacità di liquefazione è pari a 5,25 milioni di tonnellate all’anno.

La settimana scorsa, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è volato in Congo per firmare un accordo da 5 miliardi di metri cubi all’anno. Nella repubblica africana la produzione è già avviata.

T uttavia bisogna poi trasportare il gas liquefatto sulle navi metaniere e rigassificarlo in Italia in uno dei terminal a disposizione, tra Rovigo, Livorno e Panigaglia.

Pensare però di poter fare a meno del metano russo entro un anno non appare realistico. Per l’impossibilità di dotarsi in breve tempo di una capacità di rigassificazione in grado di compensare i 29 miliardi di metri cubi importati da Mosca, anche se il potenziale degli impianti in Italia è fermo al 50%. Al momento perciò sono ancora necessarie le forniture aggiuntive di Stati Uniti e Qatar.

La diversificazione delle fonti energetiche è partita subito dopo l’invasione dell’Ucraina e ora il lavoro del governo comincia a dare i suoi frutti. Ai primi di aprile, Di Maio, in visita a Baku, aveva confezionato un nuovo accordo con l’Azerbaigian, che innalza a 9,5 miliardi di metri cubi il flusso di metano che transita dal gasdotto Tap anche per Turchia, Grecia e Albania. Attualmente, nel punto di approdo di Melendugno in Puglia arrivano fino a 7 miliardi di metri cubi all’anno. A regime, Tap potrebbe farne dieci. Era seguito l’accordo col governo azero, che aggiunge 2,5 miliardi di metano alle nostre forniture, ma non è escluso che nei prossimi mesi si possa tirare fino alla sua capacità massima. L’attività di Di Maio, sempre di concerto con l’Eni, prevede un’intera pletora di Paesi-fornitori. Il principale resta comunque l’Algeria, su cui si è speso in prima persona Mario Draghi, che ha avuto anche un colloquio telefonico col presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, con l’obiettivo di rilanciare il partenariato energetico tra i due Paesi. Inoltre, un terzo dell’ammontare delle forniture di gas che arrivano da Mosca, attraverso il punto di approdo di Tarvisio in Friuli, sarebbe coperto da due terminal galleggianti per una capacità di rigassificazione ognuno di 5 miliardi di metri cubi all’anno.

In conclusione, la strategia del governo prevede tra i 9 e gli 11 miliardi di metri cubi aggiuntivi in gran parte dall’Algeria e in misura minore dalla Libia. I punti di approdo sono Mazara del Vallo e Gela. Gasdotti che in questi anni hanno lavorato a scartamento ridotto e ora sono chiamati a spingere gas per aumentare anche i nostri stoccaggi. Al 31 marzo, l’Italia aveva il 30% di riserve di gas, che sono destinate a crescere fino al 90% entro fine settembre.

Di Maio ha chiesto all’Europa di introdurre un tetto massimo al prezzo del gas: se ciò avvenisse, il potere negoziale dell’Europa sarebbe certamente superiore a quello che può spuntare l’Italia da sola.

Resta infine il problema dei pagamenti. La Russia li pretende in rubli ed è notizia di ieri la minaccia di chiudere le forniture nel giro di un mese alla Polonia e alla Bulgaria. Non è quindi solo una questione strategica ma una battaglia contro il Cremlino che usa l’arma del ricatto minacciando così di aggravare la situazione energetica di tutta l’Europa.

Università di Cagliari

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