S econdo il Diritto, la bandiera è l’attributo – benché mutevole – più distintivo di uno Stato, addirittura venerato, per esempio dagli statunitensi (in quanti film vediamo il drappo a Stelle e Strisce e gli Americani che cantano il “National Anthem” con la mano sul cuore!), oppure deplorevolmente denigrato dai leghisti al tempo di Umberto Bossi quando stracciavano il tricolore considerato italiano e non lombardo. Quindi, piaccia o non piaccia, essa – la bandiera – rappresenta uno Stato il quale, sappiamo, è formato da un popolo, stanziato stabilmente in un territorio, tutto ubbidiente alle stesse leggi.

P urtroppo, tranne i pochi che mi seguono, sanno quando è nato e dove è nato lo Stato di cui noi tutti – isolani e peninsulari – siamo cittadini, e, di conseguenza, quali sono stati e sono, anche oggi, i suoi attributi di personalità fra i quali la bandiera. Ebbene la prima bandiera dello Stato ancora sardo, attualmente chiamato Repubblica Italiana, è quella dei “Quattro Mori”, assunta il 19 giugno 1324 e durata per ben 524 anni, fino al 23 marzo 1848 quando, per ragioni nazionaliste, il Regno di Sardegna acquisì il tricolore verde-bianco-rosso il quale è diventato italiano soltanto il 17 marzo 1861, dopo ben tredici anni di vita statuale sarda.

Invece, secondo la storiografia peninsularista, la bandiera oggi detta italiana non sarebbe nata a Torino, città del Regno di Sardegna, ma a Reggio Emilia il 27 dicembre 1796 (a ricordare l’avvenimento c’è in quella città la Sala del Tricolore, e, all’esterno, la lapide celebrativa).

È un equivoco (voluto?), perché si tratta – quest’ultima – della bandiera della Repubblica Cisalpina, morta con lei dopo soltanto sei mesi di vita. Così come sono morte successivamente tutte le bandiere tricolori innalzate da tanti altri Stati preunitari. Perciò, quella magnificata dall’ufficialità della Nazione è la storia dei tre colori: verde-bianco-rosso; ma non è la storia della bandiera oggi italiana, benché anch’essa accampi il verde, il bianco e il rosso. Mi spiego meglio: si prendano ad esempio le magliette delle squadre di calcio. Il Genoa, il Bologna e il Cagliari adottano gli stessi colori rosso-blù; ma la maglietta del Genoa ha la sua storia, quella del Bologna altrettanto, quella del Cagliari ugualmente. Nessuno si sognerebbe di dire che, siccome tutt’e tre hanno gli stessi colori, hanno quindi pure la stessa storia. Ed è così anche per il Tricolore. La bandiera verde-bianco-rosso, oggi detta italiana, è, in realtà, la seconda bandiera in ordine di tempo del Regno di Sardegna, aborrita come drappo insurrezionale da Carlo Alberto fino al 1847 ma poi da lui adottata il 23 marzo 1848, al momento di dichiarare guerra all’Impero d’Austria, come simbolo aggregante per tutti coloro che nella Penisola aspiravano a schierarsi con lui per un’Italia unita. Ed è per questo che la mattina del 26 marzo, il Consiglio dei Ministri sardo diede ufficialmente l’incarico a un certo intendente Bigotti, segretario del Ministero dell’Interno, di disegnare un modello di stendardo «… verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni con al centro uno scudo sannitico con croce bianca in campo rosso bordato d’azzurro, toccante anche i colori laterali».

Lo racconta lo stesso Bigotti in una lunga lettera indirizzata al Ministero di Guerra e Marina sardo nove anni più tardi. Ed a lui dobbiamo credere.

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