La solitudine di Francesco
Q ualcuno ha scritto che con la morte di Benedetto XVI Papa Francesco sarà ancora più solo e isolato. In questi giorni abbiamo assistito all’esaltazione delle differenze, più in una logica di contrapposizione che di unità e dialogo. Da una parte la visione di una chiesa identitaria e tradizionalista, dall’altra quella di un’istituzione che si apre al mondo, contaminandosi con esso.
L e fazioni pare si siano rianimate, al punto che la parola scisma viene pronunciata senza troppo imbarazzo. Moltissimi hanno continuato a vivere la presenza di Benedetto XVI come l’Anti Francesco. Così, la chiesa sembrerebbe spaccata al suo interno, come un fiume carsico che sta scorrendo sottotraccia senza un trasparente confronto tra le persone, clero e laici.
Il clima ai funerali di Benedetto XVI era molto triste. Papa Francesco, senza mai rivolgere lo sguardo agli alti prelati presenti sul sagrato che da tempo conducono un’aperta guerra nei suoi confronti, non ha nascosto il suo dolore per la perdita di un amico. Rimarrà nel cuore di tutti il suo gesto finale, le sue mani sulla bara e lo sguardo chino, come a dire: “non dimenticarti di me”. Sì, è vero, Francesco sarà più solo. I due erano molto legati, avevano la stessa sensibilità verso il mondo. Ratzinger e Bergoglio hanno conosciuto la grande rinascita della chiesa nel periodo post-bellico, quella del Concilio Vaticano II. E hanno assistito al suo declino. Nella Germania di Benedetto XVI solo una piccola minoranza di bambini riceve il sacramento del Battesimo, i seminari di tutta Europa sono pressoché vuoti, molte altre istituzioni “cattoliche” hanno perso la presa con la società politica e civile. Moltissimi cattolici non praticano più, vanno a messa due volte l’anno. E sono emersi gli scandali all’interno della chiesa.
Il tema che stava e sta a cuore ai due grandi Papi è: c’è ancora spazio per il messaggio di Gesù in questa stagione nella quale ogni cosa dura l’arco di un post nei social? Il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin ha ricordato che “entrambi hanno avuto la stessa sollecitudine missionaria. Hanno ripetuto che la fede e il cristianesimo non sono uno sforzo etico o religioso, ma un dono di grazia, che avviene incontrando Gesù”. Ancora: “Benedetto XVI e Francesco insieme hanno ripetuto che il frutto del seguire Gesù è la felicità”. Ritornare alla semplicità del Vangelo era il primo pensiero di Ratzinger, nonché la grande missione di Francesco.
I grandi leader hanno il dono di prendere per mano il popolo e di condurlo fuori dalle secche, non certo di assecondare gli istinti di potere dei cortigiani. Da qualche giorno Francesco è più solo perché nella sua missione terrena non avrà il conforto, anche attraverso il sorriso, del suo amico Benedetto, col quale sapeva guardare oltre le logiche della curia romana. Benedetto XVI non è stato il capo di una fazione come non lo è Francesco. Ripensare l’attuale condizione della chiesa fuori dalla logica di una sterile contrapposizione può aiutare a trovare le giuste risposte, magari ridando slancio all’impegno dei laici al suo interno. Anche la società civile, l’Italia e l’Europa stanche, credo abbiano bisogno di una chiesa cattolica unita e rigogliosa, che sappia superare la spirale dell’”io” per riappropriarsi del mondo plurale e affascinante del “noi”, riprendendo l’antica vocazione di essere “sale della terra”. Per ripartire in un nuovo contesto di “umanesimo integrale”. Ecco perché è importante non lasciare da solo Papa Francesco con il peso dei suoi 85 anni.