I n un mondo iperconnesso che attraverso i social consente di far sapere a tutti in tempo reale dove si è e cosa si fa, succede che tre persone muoiano in provincia di Macerata nell’indifferenza generale.

Nessuno li ha cercati per almeno quattro mesi, se non addirittura cinque, e quando finalmente si è aperta quella porta, ecco la terribile realtà: il capofamiglia, imprenditore ottantenne, accasciato sul pavimento del bagno. La moglie di qualche anno più giovane, logopedista, da tempo bloccata da un ictus, morta nel suo letto.

Il figlio, 54 anni, paralizzato da oltre venti in seguito a un incidente stradale, privo di vita per terra, nella camera matrimoniale dei genitori. Senza l’aiuto del capofamiglia, stroncato da un malore, gli altri due sono morti di fame e di sete, in modo atroce, pochi giorni dopo, forse senza capire cosa fosse successo, o forse sì, non lo sapremo mai.

Non è la prima volta che le cronache riportano casi simili nelle nostre città, i nostri paesi, i nostri borghi: di recente una pensionata è stata trovata dopo settimane, morta, nella sua villetta. Era invisibile a chiunque, perfino ai vicini di casa, e la sua prolungata assenza non era stata notata. A distanza di poco tempo accade di nuovo. Morire di solitudine in mezzo alla gente. Possibile? Eppure siamo un popolo solidale che si prodiga per il prossimo, ogni volta che c’è bisogno scatta una gara di solidarietà. Basti vedere cosa abbiamo fatto e facciamo per i profughi ucraini, accolti nelle nostre case.

E i nostri vicini? I nostri parenti? Perché li dimentichiamo? Nel nostro mondo iperconnesso può succedere di preoccuparci per una persona ma di accontentarci di messaggi whatsapp, utili a far credere viva – per esempio - una persona morta da settimane, come nel caso del padre della giovane donna brutalmente assassinata dall’ex. Abbiamo davvero perso l’abitudine al contatto umano diretto? Quello che ci porta a sentire, vedere, toccare le persone? E subito correre da loro se non le troviamo?

La famiglia di Macerata negli ultimi anni si era isolata, aveva eliminato i contatti, addirittura scoraggiato le visite degli amici al figlio. Anche i parenti si erano evidentemente allontanati. Ma la nostra organizzazione sociale prevede comunque un supporto, anche davanti a persone che decidono di ritirarsi dalla vita comune. I Servizi sociali conoscevano la situazione di quel nucleo familiare: perché non l’hanno seguito? Perché padre, madre e figlio sono stati abbandonati a un destino così atroce?

E dire che una segnalazione c’era stata: un amico dell’imprenditore aveva messo sul chi vive le istituzioni locali tanto che l’assessore aveva sollecitato un controllo. Ma quella famiglia non è mai stata presa in carico dai Servizi sociali: perché? Un uomo di 80 anni che da solo deve accudire la moglie, anziana quanto lui, gravemente malata e bisognosa di tutto, e un figlio disabile, è stato valutato capace di cavarsela da solo?

Stando alla ricostruzione fatta a posteriori, dove tutto è chiarissimo, dunque terribile, sono trascorsi almeno cinque mesi senza che i familiari, i vicini ma nemmeno il medico di base bussassero alla porta di quella casa. Nessuno per tutto quel tempo si è chiesto se avessero bisogno di qualcosa e, non sentendoli né vedendoli, si è domandato che fine avessero fatto. Non erano al mare, come pure era stato riferito ai carabinieri, messi sul chi vive da un agente immobiliare che non riusciva a mettersi in contatto con l’imprenditore che lo aveva incaricato di vendere l’abitazione. Ed era oggettivamente difficile pensare che fossero andati in vacanza.

Sono passa ti alcuni mesi prima che la sorella della donna si allarmasse e si scoprisse che erano tutti i morti, e altro tempo c’è voluto per sapere, attraverso l’autopsia, che moglie e figlio erano stati uccisi da fame e sete, essendo mancato loro l’unico sostentamento. Non sembra vero ma ci sono persone in gravi difficoltà che non chiedono aiuto. E noi, che siamo iperconnessi e ci sentiamo solidali, abbiamo il problema di andare troppo di fretta per fermarci e suonare un campanello.

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