U na guerra nefasta, senza precedenti nell’età moderna. Nelle case dei sardi non è entrata in punta di piedi, ha bussato violentemente a colpi di bollette e costo della vita, balzato alle stelle in meno di una settimana. Il conflitto tra Russia e Ucraina in realtà è uno scontro epocale tra il regime di Putin e l’Occidente. In ballo ci sono confini, sicurezza e predominio economico. Su tutto, però, ci sono gas, petrolio ed energia, l’ossigeno di qualsiasi economia avanzata. In un batter d’occhio la guerra ha cambiato scenari e prospettive, ha ribaltato la stessa filosofia di fondo del bazooka economico del Pnrr europeo.

D i punto in bianco l’agenda energetica mondiale subisce una frenata tanto grave quanto irruenta. L’Europa deve abbandonare frettolosamente la dipendenza dal gas russo, senza diventare in un attimo ostaggio di quello americano o arabo. In questa partita la Sardegna, da periferia bistrattata e marginale, può diventare strategica e lungimirante, recuperando ritardi e soprusi. Mentre gli americani, svizzeri e quant’altri, sfruttando “i favori” della guerra, pianificano l’invasione eolica e fotovoltaica del mare, dei crinali e delle terre agricole della Sardegna, per l’Isola dei Nuraghi si possono aprire opportunità, contingenti e strategiche, senza precedenti. La scansione temporale della nuova via dell’energia sarda è scandita da tre passaggi ineludibili: urgenza, medio e lungo termine. In Sardegna significa progetti concreti, capaci di conciliare la primaria esigenza energetica con una visione strategica e lungimirante. La sfida è quella di passare dall’eterno ruolo di inseguitori, sempre in ritardo, ad apripista della nuova geopolitica energetica del Mediterraneo e della stessa Europa. In Sardegna ci sono almeno tre opportunità che vanno giocate. È stato lo stesso Draghi, nei primi giorni della guerra, a ridare centralità al carbone. La Sardegna è l’unica regione che ha il 90% della sua produzione termoelettrica a carbone. Sia la centrale di Portovesme che quella di Porto Torres, 1.500 megawatt tra tutte e due, sono alimentate dalla pietra nera. Producono inquinamento, meno rispetto al passato, ma ne potrebbero produrre ancora meno, se il Governo attivasse con urgenza tecnologie di abbattimento di CO2, con tecnologie di cattura e stoccaggio. L’utilizzo delle due centrali riammodernate può spostare il “big bang” della chiusura almeno al 2030, anziché al 2025 come previsto sinora. Altro elemento a favore di questa soluzione è la presenza in Sardegna del più grande bacino carbonifero italiano. Una stima aveva stabilito un potenziale di 50 milioni di tonnellate. La miniera della Carbosulcis ora è chiusa. Al momento della serrata, nel 2013, si sostenne che non ci sarebbero state più guerre. L’Europa sostenne l’inutilità di quelle riserve strategiche. La storia di questi giorni ha scaraventato quelle previsioni negli archivi delle sottovalutazioni di Palazzo. Quella miniera oggi, però, potrebbe essere riattivata in tempi rapidi, non più di un anno, secondo i ben informati. La seconda opportunità è quella di un cambio totale dell’approvvigionamento del metano, capace di perseguire, per almeno vent’anni, un’equilibrata, e non traumatica, transizione ecologica. Europa e Italia sostengono a gran voce l’abbandono del gas russo per puntare ai paesi del Magreb, Algeria prima tra tutti. In questo caso Governo e Commissione Europea hanno a disposizione il progetto del Galsi, il metanodotto Algeria, Sardegna, Europa, con l’Isola protagonista. Quel progetto è oggi l’unico approvato in ogni suo passaggio, dall’impatto ambientale a quello legislativo. In due anni quell’opera potrebbe essere realizzata, magari con il tratto sardo predispo sto con condotte hydrogen-ready , ovvero già pronte per far passare l’energia più pulita al mondo, l’idrogeno. La terza opportunità per l’Isola è proprio quella data dalle energie rinnovabili. La Sardegna, può, anzi deve, imporre una propria “autonomia” energetica e puntare, in meno di dieci anni, alla trasformazione di sole e vento in idrogeno verde. Una vera e propria rivoluzione per il futuro dell’Isola. Una strategia per far diventare la terra dei Nuraghi apripista e non succube inseguitrice degli interessi altrui.

© Riproduzione riservata