L a Sardegna è sempre più emarginata, periferia dell’impero. Non è nelle corde del governo centrale, ma non è una novità. Anche il governo precedente aveva un atteggiamento di scarsa considerazione. Tutto appare lecito, non si sente la necessità di stabilire un percorso di condivisione in ordine alle grandi questioni che la riguardano. È un andazzo che ha radici profonde, a partire dal primo Governo De Gasperi che aveva predeterminato – e non concordato come prevedeva lo Statuto speciale – la quota di gettito fiscale di spettanza regionale.

L a Sardegna è una terra lontana per il potere romano e non ha mai destato particolari preoccupazioni, forse anche per la distanza fisica e la barriera del mare.

Così maturano decisioni che vengono calate in Sardegna quando ormai rimane poco da fare. Si pensi a quelle relative ai grandi investimenti in materia energetica (eolico), la cui autorizzazione è rilasciata dal potere di Roma. Nuraghi, dolmen e domus de janas hanno resistito per oltre 3000 anni e ora rischiano di essere definitivamente contaminati in nome di una transizione energetica raccontata con forti opacità e contraddizioni. Roma decide, la Sardegna subisce. Io credo, invece, che sia arrivato il momento di invertire il percorso decisionale centro-periferia, non per sottolineare una rivendicazione o un’istanza resistenziale, ma per affermare la piena legittimazione dei sardi, in ogni sede, compresa quella civica, a vedere rispettati il proprio Statuto e la Costituzione repubblicana, alla cui redazione hanno contribuito senza riserve. L’articolo 9 della Carta fondamentale recita: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Dentro la Repubblica ci sono anche gli enti regionali, che concorrono, insieme allo Stato, alla piena attuazione delle norme programmatiche insopprimibili quali quella sul paesaggio. Quindi, visto che la “legge 387 del 2003 sulle fonti rinnovabili” – come ha ricordato il presidente del FAI Marco Magnifico, – “di fatto scavalca i piani paesaggistici nel nome degli impianti”, appare indefettibile stabilire in modo chiaro che l’autorizzazione per queste megalitiche installazioni dovrà essere rilasciata di concerto con la Regione Sardegna. Se non altro perché il paesaggio, con il suo patrimonio artistico e ambientale, rappresenta la più importante infrastruttura del territorio e la transizione energetica non può avvenire in contrasto con lo sviluppo economico dell’Isola.

In questo senso bene ha fatto la Regione Sardegna a impugnare gli atti amministrativi del Governo che sono in violazione non solo della Costituzione ma anche dello Statuto speciale e delle sue norme di attuazione. Ma non basta. Occorre trattare con lungimiranza e determinazione con lo Stato per modificare l’attuale impianto normativo e far valere le priorità dell’Isola in un’ottica di sviluppo sociale ed economico realmente sostenibili. E richiedendo allo stesso adeguate risorse finanziarie. Diversamente, ogni intervento o riforma, anche in tema di tutela del territorio, sono destinati a fallire. Come è successo in passato, in materia di trasporti, quando è stato portato a casa il potere di decidere come garantire la continuità territoriale per chi arriva o parte dalla Sardegna, senza avere obbligato lo Stato a metterci i relativi fondi.

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