C ontinuare a ignorare l’Europa è un grave errore. Non solo l’euroscetticismo delle destre estreme ma anche la visione corta e a tratti opaca di diverse altre forze politiche trasmettono un messaggio sbagliato agli elettori, molti dei quali, disertando le urne, non capiscono che la partita del futuro si gioca in gran parte in sede europea. Attraverso i vari trattati, la sovranità è stata spostata a Bruxelles dove si decidono i destini dei popoli delle singole nazioni. Più il sistema è debole, più è forte la dipendenza dall’Europa, come nel caso italiano.

C ambiano le maggioranze ma rimane immutata la condizione di subalternità rispetto alle istituzioni europee. È di questi giorni la procedura di validazione del quadro economico che gli uffici del Tesoro hanno avviato con l’Ufficio di bilancio della Commissione europea: sarà la base per costruire la prossima manovra economica. E sarà l’Eurostat a chiarire come contabilizzare in bilancio i crediti di imposta legati ai superbonus 110%.

Non solo economia e finanza. Dal Parlamento europeo scaturiscono le nuove regole in materia di intelligenza artificiale, migrazione, trasporti, mobilità delle persone e delle merci, formazione, inclusione sociale e cambiamenti climatici. Dopo la guerra provocata dalla Russia in Ucraina una nuova stagione si sta consolidando senza che in Italia e in Sardegna si sia presa adeguata consapevolezza. Da sempre, la scadenza elettorale europea viene consumata con le stesse logiche delle elezioni locali. Le candidature per il Parlamento europeo seguono logiche correntizie interne e non sempre la selezione dei candidati è ancorata alla portata dell’appuntamento. Ancora oggi, le istituzioni europee sono lontane dai cittadini e dalla politica militante del nostro Paese, gli euroscettici identificano l’Europa con i burocrati e considerano i politici succubi dei primi. Non è così: Parlamento, Consiglio e Commissione europea sono istituzioni politicamente forti e positivamente condizionate dall’altissimo profilo tecnico della struttura burocratica.

Volgendo, poi, lo sguardo alla Sardegna, si scorge che la situazione è preoccupante: da tempo non ha voce in capitolo, le sue istanze si perdono per strada. Certo, c’è un grave difetto della legge elettorale ma anche una evidente assenza di iniziativa da parte delle forze politiche. Essere stabilmente presenti in Europa porterebbe significativi miglioramenti alla Sardegna, facendo superare quell’insopportabile condizione di permanente marginalità. Il Consiglio regionale qualche mese fa ha approvato una proposta di legge nazionale mirante alla costituzione della “circoscrizione Sardegna” per le elezioni del Parlamento europeo. L’iniziativa, probabilmente priva di sbocco, mira a scorporare l’attuale circoscrizione dalla Sicilia e quindi a garantire una rappresentanza sarda nel Parlamento sovranazionale. Ma, almeno per la scadenza elettorale della primavera prossima, non se ne farà nulla. Intanto, il Quadro finanziario pluriennale europeo e il Next GenerationEu 2021-2027 hanno una dotazione totale di 2018 miliardi di euro; sono fondi destinati, tra l’altro, all’innovazione, all’agenda digitale, alle risorse naturali e all’ambiente. Anche sul fronte della spesa, la Sardegna deve fare di più. La Commissione europea, infatti, nel mese di gennaio scorso, ha stanziato un fondo apposito per rafforzare la capacità di spesa dei fondi europei da parte di alcune regioni italiane, tra cui la Sardegna. La strategia prevede la fornitura di servizi, personale, formazione e sostegno ai piani di rafforzamento delle capacità delle amministrazioni regionali. Pertanto, seppure con l’ennesimo rischio di non avere rappresentanza politica a Bruxelles, appare importante focalizzare l’attenzione sui fondi messi a disposizione per provare a rafforzare la strategia di sviluppo economico e sociale dell’Isola.

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