A ottobre 2021, il Governo aveva presentato una proposta di legge delega per la riforma fiscale, che prevedeva anche una riforma catastale per l’aggiornamento del valore degli immobili.

Già in quella occasione, si era dichiarata l’intenzione di aggiornare le rendite catastali, adeguandole a quelle di mercato, ma allo stesso tempo si rassicurava che queste informazioni non sarebbero state utilizzate per determinare l’imponibile dei tributi. In altri termini, si era garantito ai contribuenti che i valori aggiornati del catasto non sarebbero stati utilizzati per imporre nuove tasse o imposte sugli immobili. Ora, il Governo intende procedere sulla riforma, anche se la strada da percorrere è irta di difficoltà.

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha ribadito in varie occasioni che l’obiettivo non è quello di aumentare l’imposizione fiscale sulle abitazioni. Parla di riforma a parità di gettito fiscale. Perché allora procedere a una riforma del catasto col vincolo di non aumentare le tasse sulla casa? Più che di riforma, in effetti, si parla di “aggiornamento del catasto”, che tuttavia serve a classificare e a rideterminare i valori delle abitazioni sulla cui base si pagano le imposte sugli immobili: Imu, tassa di registro quando si compra da un privato, tassa di successione e donazione, oltre a contribuire al calcolo dell’Isee per chi chiede contributi e agevolazioni pubbliche.

Allora perché su un tema così scontato si accapigliano tutti i partiti?

C iò avviene perché modificare il valore del singolo immobile di fatto significa anche modificare l’importo delle imposte che il suo possessore è tenuto a pagare. Apparentemente, quindi, è vero che l’intenzione della riforma sembra essere semplicemente di natura burocratica, per mettere ordine nel registro catastale che non viene aggiornato da oltre 30 anni. Appare però del tutto improbabile che una simile operazione non porterà a nessun tipo di cambiamento sulle imposte. In futuro, con i nuovi dati a disposizione, il governo in carica, o uno di quelli che lo seguiranno, potrebbe sempre rivedere la promessa, magari a favore di chi oggi paga ingiustamente più tasse.

Che cosa prevede la riforma? Secondo Milena Gabanelli e Gino Pagliuca sul Corriere della Sera, essenzialmente tre cose. La prima è quella di identificare gli immobili fantasma. L’ultima ricognizione del 2011 indicava in oltre due milioni le porzioni di territorio (le “particelle”) che non trovavano riscontro nelle banche dati, con oltre la metà dei casi di edificazioni ancora da accatastare.

Una parte è stata sanata portando alle casse del fisco un maggiore gettito per 356 milioni all’anno, ma ancora l’ultima edizione disponibile delle statistiche catastali (2021) dell’Agenzia delle Entrate segnala 1,2 milioni di immobili fantasma.

Il secondo aspetto della riforma è quello di riclassificare con le regole attuali gli immobili che hanno cambiato le loro caratteristiche. L’emersione delle case non accatastate, di quelle che se pur censite non pagano il dovuto, e la riclassificazione degli immobili porteranno nuovi introiti all’Erario e alle casse comunali. Oggi il prelievo sugli immobili è stimabile in 41 miliardi di euro. La promessa è che dove emergerà più sommerso si procederà a una riduzione delle imposte, in particolare dell’Imu a livello locale.

Infine, il terzo aspetto della riforma riguarda l’aggiornamento delle rendite ai valori reali. Negli ultimi tre decenni ci sono quartieri che si sono degradati e altri che invece hanno avuto uno sviluppo perché sono migliorati i servizi pubblici. Alcuni immobili hanno perso valore e altri lo hanno aumentato.

Ma come si calcolano i valori? Identificando le caratteristiche delle zone in cui sono suddivisi i territori urbani e tenendo conto delle statistiche sui valori immobiliari di tutti i Comuni che l’Agenzia delle Entrate rende pubbliche ogni sei mesi. Ciò consentirà di avere un quadro più veritiero della situazione, ma non inciderà sulle imposte, perché la riforma prevede che fino al 2026 si continuerà a pagare sulla base delle vecchie rendite, dopo si vedrà.

Ma è proprio questa impossibilità di prevedere cosa accadrà davvero in futuro ad agitare alcuni partiti. Particolarmente in un periodo in cui sono già proiettati verso le prossime elezioni.

Università di Cagliari

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