T utti pensavano che Volodymyr Zelensky, nel suo discorso al Parlamento italiano, avrebbe citato la Resistenza. Era una consecutio logica di un itinerario: Zelensky aveva parlato del muro di Berlino davanti ai tedeschi, di Winston Churchill davanti agli inglesi, di shoah agli israeliani, di 11 settembre agli americani, e sembrava inevitabile che concludesse il cerchio di una comunicazione empatica, evocando le origini della Repubblica davanti agli italiani. E invece non lo ha fatto: il presidente ucraino ha citato una capitale del nostro Paese, per raccontare l’assedio di Mariupól.

«P rovate a immaginare se venisse attaccata una città di mezzo milione di abitanti, come Genova». Zelensky ha provato a lanciare un grande slogan: «Noi non stiamo difendendo noi stessi. Noi stiamo difendendo la vostra libertà». Così, se la capacità di variazione comunicativa di Zelensky ricorda il talento di “Zelig” (lo straordinario personaggio inventato da Woody Allen che si adattava quasi mimeticamente ad ogni contesto in cui si ritrovava), bisogna dire che questo non è un suo punto debole ma semmai quello di forza. In questa guerra che non è solo fatta di missili e strategia, ma è anche e soprattutto mediatica, da un lato ci sono i tavoloni algidi di Vladimir Putin, dall’altro l’Iphone di Volodymyr, da un lato il giaccone di Loro Piana dello Zar (13mila euro), dall’altro le t-shirt militari del leader ucraino.

Sentendolo ieri, non si poteva non avvertire che Zelensky si sta giocando il tutto per tutto: al congresso americano ha proiettato un video fatto dai giornalisti più famosi del paese (è come se Fabio Fazio, Corrado Formigli e Bruno Vespa avessero collaborato in Italia per una impresa analoga) tutto fondato su un montaggio ritmato fra i tesori dell’Ucraina di ieri e le macerie del Paese di oggi. E sabato ha messo su Instagram un altro video potentissimo, che sembrava uno spot cinematografico: “Questa era la mia casa. Questi erano i miei amici. E questo era mio padre”. Con la telecamera che a queste parole corre su un cadavere in strada mentre un uomo grida: “Papà! Papà!”.

È incredibile che in Italia si sia aperto un dibattito grottesco sul tema: “Bisogna ascoltare Zelensky o no?”. Ed è curioso che per alcuni questa sia diventata una occasione di comunicazione politica: far discutere di sè disertando l’Aula durante il discorso del presidente ucraino. Un pezzo della vecchia maggioranza “gialloverde” - leghisti ed ex Grillini - ha trasformato questa scortesia istituzionale in un gesto di obiezione politica. Ed invece bisognerebbe capire che la pace si farà quando tutti i falchi che oggi volano nei diversi Paesi (compresi i nostri presunti “obiettori” italiani) capiranno che questa guerra è già una catastrofe civile, umana ed economica. E che questo flagello non colpisce solo l’Ucraina, ma rischia di cancellare l’identità dell’Europa. Sentendo ancora una volta parlare Zelensky, guardando la sua inarrestabile campagna social, ascoltando i suoi appelli, capisco che lui crede di poter ribaltare i rapporti di forza bellici grazie alla propria capacità comunicativa. Che immagina di poter impantanare l’orso Russo grazie alla sua resistenza e alle armi. I precedenti non mancano: l’impresa dei vietnamiti contro gli americani, quella degli israeliani contro gli arabi, quella dei Mujaeddin afghani contro i sovietici. E questo non perché si illuda di una vittoria militare, ma perché sa che il fattore tempo gioca a suo favore, e che i suoi discorsi sono l’arma più potente. Tuttavia anche noi, che non possiamo essere né indifferenti né equidistanti, sappiamo che questo fattore tempo per il governo di Kiev è anche fattore di ri schio per tutto il mondo. Ecco perché non avrei nessun dubbio su ascoltare o meno Zelensky, ed ecco perché non esiste la minima possibilità di confondere aggressore e aggredito: però anche l’Europa deve subito mettere in campo un “peso massimo” - su tutti Angela Merkel - che abbia l’autorevolezza di mediare, mettendo i belligeranti davanti ad un tavolo. Non abbiamo bisogno di una nuova “Guerra Fredda” ma di una “nuova Helsinki”. Di una pacificazione coatta, se serve. Non ho dubbi che il primo nemico di questa soluzione sarebbe Putin, che oggi vagheggia una vittoria militare e novecentesca. Per questo vorrei che qualcuno riuscisse a spiegare a Zelensky che questo deve accadere non nell’interesse degli italiani, o degli europei: ma in primo luogo in quello degli ucraini. Con i video e i social si possono vincere molte battaglie: non una guerra infame come questa.

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