S iamo in un’economia di guerra, ma la percezione dell’uomo della strada è che quello che accade sul campo di battaglia sia lontano, che i carri armati e i cannoni facciano parte dello scenario di un luogo remoto. L’inflazione e lo shock energetico non hanno ancora reso pienamente visibile quello che sta accadendo, il rallentamento dell’economia c'è, nei prossimi mesi sarà forte, ma non toccherà tutti allo stesso modo.

Com’è già accaduto durante la crisi della pandemia, i lockdown misero a terra solo alcuni settori del sistema produttivo, altri rimasero al riparo, alcuni addirittura trovarono l’occasione per crescere e moltiplicare i fatturati (in guerra c’è sempre chi guadagna e diventa ricco), pensate all’ascesa delle aziende hi-tech, ai produttori di software, all’industria del sofa-entertainment, perfetto per la legione degli “indivanados” e degli “aperitivanti” su Zoom. Tra le classi sociali più protette si è fatta poi largo l'idea che lo smartworking sia permanente, alcuni si sono illusi che una vita sdraiata con il sussidio e il reddito di cittadinanza per l’eternità sia il “new normal” della propria esistenza, qualcuno paga il loro letargo. Non sarà così a lungo, alla fine la realtà bussa alla porta.

Q uando l’Europa durante la Seconda guerra mondiale soffriva la fame, intere nazioni erano sotto i bombardamenti, mentre Hitler metteva a ferro e a fuoco le capitali e i piccoli villaggi venivano depredati dalle truppe tedesche (e poi dai sovietici che avanzarono sul fronte orientale), negli Stati Uniti d'America le famiglie festeggiavano il Thanksgiving con il tacchino, in un’atmosfera di pace e benessere familiare. Due mondi separati, inferno e paradiso. La minaccia dell'impero giapponese svegliò gli americani dal loro sonnambulismo, la tragedia di Pearl Harbor segnò l’ingresso nella dimensione di ferro e fuoco del XX° Secolo. Gli americani entrarono in guerra con alla Casa Bianca il presidente Franklin Delano Roosevelt il 7 dicembre del 1941, ne uscirono nell’agosto del 1945 con Harry Truman e le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Fu la prima e ultima volta che vennero usate le armi nucleari in un conflitto.La prima. Ma quando scrivo la parola “ultima” mi sale l’inquietudine, perché non siamo mai stati così vicini a una guerra termonucleare come oggi. Lo ha ricordato Joe Biden l’altro ieri, forse (in)volontariamente, usando la parola “Armageddon”. Il presidente, come spesso capita, è stato corretto dalla portavoce della Casa Bianca che ha specificato che non c’è una minaccia nucleare “immediata” da parte della Russia, ma la parola Armageddon ha fatto il titolo, echeggia e non si può archiviare.

Il pericolo è più concreto di quanto si possa immaginare. L'attacco di ieri sul ponte della Crimea è un chiaro segnale della capacità di penetrazione delle forze ucraine nella penisola sotto il controllo di Mosca dal 2014, ma è un fatto destinato a complicare lo scenario del conflitto, perché metterà le ali ai falchi di Mosca, il gruppo dei nazionalisti che fa pressione su Putin per l'uso di un’arma nucleare tattica. La storia gioca a dadi, si diverte perfidamente facendo carambolare i nomi, i personaggi, le parole. Nello stesso giorno dell’attacco sullo Stretto di Kerch, Mosca ha nominato un nuovo comandante delle operazioni in Ucraina, si chiama Serghei Surovikin, è nato nel 1966 a Novosibirsk, è un veterano della guerra civile in Tagikistan negli anni '90, della seconda guerra in Cecenia negli anni 2000 e dell'intervento russo in Siria nel 2015. Surovikin è un uomo della guerra e ha un soprannome destinato ad alimentare il lavoro dei cabalisti: Generale Armageddon. Dai discorsi di Biden al generale scelto da Putin emerge il nome dell'Apocalisse.Bisogna essere ottimisti - i pessimisti non vincono le guerre - e bisogna arrivare a definire in questo scenario cosa è la vittoria e cosa è la sconfitta. Perché senza aver tracciato un confine, un limite, la storia finirà per rotolare verso l’indicibile. Nel 1914 i capi di Stato di un'Europa di “Sonnambuli” (titolo del libro dello storico Christopher Clark) scivolarono nella Prima guerra mondiale che aprì il capitolo dello sterminio delle armi automatiche e della trincea (nella sola battaglia della Somme, oltre 300mila morti in cinque mesi). Chiusa la Grande guerra , con la pace sbagliata di Parigi del 1919 (leggere i libri profetici di John Maynard Keynes sul tema) si crearono le premesse per il secondo conflitto mondiale e fu quella l’occasione per piegare il nemico con la Bomba atomica.

Settantasette anni dopo, siamo di nuovo di fronte al dilemma dell’uscita dalla guerra per non entrare in un atroce scenario radioattivo. Dicono che Albert Einstein alla domanda su come sarà la Terza guerra mondiale rispose più o meno così: «Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre».

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