C he esista un difficile e controverso rapporto fra urbanistica e politica è ormai constatazione accertata ed incontrovertibile. Ne avrebbe fatto le spese già sessant’anni or sono (1963) il ministro Fiorentino Sullo, impedito dal suo stesso partito di portare avanti una sua legge di riforme normative, e ne avrebbe poi ripetuto l’esperienza negativa trentatré anni dopo (2006) il Presidente della nostra Regione Renato Soru, costretto anch’egli a dare forfait al suo controverso progetto. Né miglior fortuna avrebbero avuto i suoi tre successori nelle Giunte sarde.

T ant’è che è tutt’ora vigente qui nell’isola la legge regionale numero 45 del 1989. Per la verità, e per una migliore comprensione, andrebbe precisato che l’urbanistica, con le sue scelte e le sue regole, non possa che essere una scienza politicamente neutra (e neppure neutrale), nel senso che essa si propone di incidere profondamente sul vissuto, sugli interessi concreti e sulle attese delle comunità interessate. E, conseguentemente, d’essere soggetta a verifiche ed a giudizi da parte delle diverse, oltreché differenti forze politiche.

Va aggiunto che, specie qui nell’isola, permangano molte difficoltà per varare delle nuove regolamentazioni del settore, tutte più o meno destinate ad abortire per dissidenze interne più che per obiettive motivazioni tecniche. D’altra parte, andrebbe tenuto ben presente come proprio l’urbanistica (e a maggior ragione la pianificazione che la contiene) non possa che essere una scelta e, come tale, una sorta di “conflitto” fra opzioni concorrenti, regole differenti, strategie opposte ed assetti contrastanti. Un conflitto che chiama in causa proprio la politica, che non può che essere destinata, per il suo ruolo, a dover decidere su quelle scelte. Ne deriverebbe l’opzione, pur non condivisa da molti, che le scelte in urbanistica dovrebbero essere fatte dai politici, ma tecnicamente assistite dal parere degli specialisti. In buona sostanza, si vorrebbe che ogni scelta politica in tema di antropizzazione territoriale debba trovare una sua validazione da un supporto tecnico.

Questa lunga, seppur necessaria premessa aiuta ad entrare nel perché ci sia, e permanga, qui in Sardegna una “questione” urbanistica, come problema decisamente politico-culturale, prima ancora che tecnico-operativo. Ed è una questione che attiene proprio alla difficoltà della politica (o, meglio, dei politici) di trovare, o di voler cercare, un incontro (una mediazione, un compromesso, o qualcosa di simile) con gli specialisti della materia. Anch’essi, peraltro, restii fideisticamente ad ogni pratica interlocuzione. Tanto da risultare, gli uni e gli altri, incardinati nelle rispettive rigidità, nella difesa di una “linea del Piave” per la preminenza decisionale nelle scelte.

Queste contrapposizioni ideologiche (“yes-cement vs no-cement”) hanno motivato l’impasse decisionale di cui l’isola soffre ormai da una quindicina d’anni. Un’impasse che ha più che dimezzato il valore aggiunto delle costruzioni ed inferto un colpo da cappaò alle licenze edilizie, calate di quasi due terzi (e di oltre 50mila unità l’occupazione). Non sembra quindi semplice poter uscire dallo stallo odierno. A meno che non lo si affronti da un aspetto culturale, prima che normativo. Nel senso, preciso, che si alzi e si approfondisca una nuova cultura del territorio. Che non può di certo tradursi in una sterile difesa dello status quo o nell’impossibile ritorno alla natura incontaminata, vietata ad ogni influenza antropica. O, per il verso opposto, ad un ritorno all’invasione, disordinata e perversa, di illimitate carrettate di mattoni e cemento.

Si t ratta quindi di capire, culturalmente, come dover affrontare lo sviluppo territoriale. Nell’intento di doverne regolamentare l’utilizzo responsabile nelle sue complessità e nelle sue differenti valenze. Quale bene primario al servizio dell’uomo e della sua vita sociale ed economica, da valorizzarsi attraverso la saldatura virtuosa fra le diverse opzioni. Cercando così di coniugare insieme l’umiltà della comprensione con il coraggio dell’innovazione. Ed è per questo, che il varo di una nuova legge urbanistica regionale, frutto dell’intesa, intelligente e responsabile, fra politica e tecnica, debba essere la soluzione auspicabile per non lasciare la Sardegna nelle acque ferme (oltreché limacciose) d’una pesante e penalizzante crisi dell’edilizia.

© Riproduzione riservata