N on sono un politico ma uno storico accademico che studia la sua terra soprattutto per cercar di capire, dagli errori del passato, anche i mali del presente.

Quando il 30 novembre del 1847 noi Sardi chiedemmo incoscientemente a Carlo Alberto la “Perfetta fusione” per fonderci con gli altri Stati del Regno di Sardegna (Principato di Piemonte, Ducato di Savoia e Contea di Nizza), perdemmo dopo 532 anni la statualità individuale, ma non ci venne in testa di chiedere in cambio l’autonomia amministrativa.

U n’autonomia che regolasse i rapporti politici, economici e sociali tra il nuovo apparato centrale e noi isolani, per cui, alla fine delle guerre risorgimentali, ci trovammo di fronte a tutti i nostri mali irrisolti che gli storici contemporaneisti chiamano “Questione sarda”. Scrive Leopoldo Ortu nel suo saggio in materia: «L’espressione venne caricandosi di tutte le frustrazioni e di tutte le proteste suscitate dal naufragio delle speranze che avevano accompagnato la Perfetta fusione e la rinuncia, sopra quell’altare, alle antiche istituzioni …».

E ci affidammo allora alle Commissioni parlamentari d’inchiesta. Dalla prima, nel 1869, fino ai giorni nostri ne abbiamo avute cinque: la seconda nel 1877 e, le altre, nel 1894, nel 1896 e, l’ultima, istituita con legge del 1969 per studiare il problema del banditismo isolano. Non hanno risolto nulla. Le male lingue in assenza di provvedimenti e relazioni conclusive parlano di festini a base di porchetti, “casu marzu” e vernaccia ……

Alla fine di tutta l’attività inquisitoriale ci rimane, di valore, lo studio pubblicato da uno dei membri della prima Commissione, Quintino Sella, sull’industria mineraria locale dove operavano, dal 1847-50, le Compagnie Montevecchio e Monteponi con una produzione complessiva di 25.000 tonnellate di minerali di piombo e 92.000 tonnellate di minerali di zinco.

Sicché la parola “autonomia” restò un’idea solo accennata nel corso del rimanente Ottocento e della prima metà del Novecento. In sostanza l’isola non espresse mai una propria volontà di autogoverno, il desiderio di prendere in mano le redini di una propria autonomia gestionale, nemmeno dopo la Prima guerra mondiale quando l’8 agosto 1920 i combattenti sardi si riunirono a congresso a Macomer per discutere dell’emancipazione della regione e del lavoratore sardo.

Fu il 17 aprile dell’anno successivo, con la costituzione a Oristano del Partito Sardo d’Azione che si cominciò a discutere in Sardegna, ma solo in via teorica e mai proponente, di federalismo, separatismo e autonomismo, temi che furono meglio ripresi nel secondo congresso, sempre ad Oristano nel gennaio 1922, e nel terzo a Nuoro nell’ottobre dello stesso anno.

Purtroppo, l’avvento del Fascismo interruppe ogni anelito libertario. Il Partito Sardo d’Azione che, all’inizio, era antifascista, sotto la pressione del generale Esclepia Gandolfo, mandato da Benito Mussolini nell’isola come prefetto, il 4 marzo 1923 cessò le sue rivendicazioni autonomistiche e per buona parte si fuse col Partito Nazionale Fascista per formare il cosiddetto Sardofascismo. La parola “autonomia” ricomparve soltanto alla fine della Seconda guerra mondiale, dopo la morte del Duce. Ma questa è materia per altre, prossime puntate della analisi sulle origini della “questione sarda”.

Storico

© Riproduzione riservata