N ella certezza di avere trovato un nuovo format di successo, i giornali hanno pubblicato ampi resoconti del primo scontro parlamentare fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Non c’interessa, qui, segnare i punti del duello retorico, quanto semmai la silhouette del pensiero economico che è emerso dall’intervento della nuova leader del Pd.

In quest’ambito, le sue fiches Schlein le ha puntate tutte sul salario minimo. Com’è noto, in Europa i Paesi si dividono fra quelli che hanno un salario minimo legale e quelli che, invece, ricorrono alla contrattazione collettiva nazionale. Che stabilisce, di fatto, il salario per le diverse professioni oggetto di contrattazione. In Italia, il sistema della contrattazione collettiva riguarda la stragrande maggioranza dei lavoratori.

Nel corso degli anni, chi ha sostenuto l’introduzione di un salario minimo per legge lo ha fatto per suggerire un regime diverso dall’attuale, dove le associazioni dei lavoratori contino di meno.

Schlein (e con lei, ormai, il Pd) vuole invece l’una e l’altra cosa insieme. “"Se fosse bastata la contrattazione non avremmo ora il 12% dei lavoratori che sono poveri”, ha detto. In questi giorni c’è il congresso nazionale della Cgil, al quale è intervenuta anche Schlein. Chissà se ha fatto presente, in termini così espliciti, anche a Maurizio Landini di considerare fallimentare l’attività dei sindacati, per giunta nel loro core business: i contratti. Curioso è l’esempio fatto dalla nuova segretaria del Pd.

L a necessità di un salario minimo per legge sarebbe suffragata “dall’emigrazione dei giovani che se ne vanno per i bassi salari”. I bassi salari in Italia sono sicuramente un problema, così come lo è la dinamica delle retribuzioni che è, non solo nel pubblico, tarata sostanzialmente sull’anzianità.

I giovani che lasciano il Paese sono di norma ragazzi che hanno studiato fino all’università, non persone che vogliono competere con quel “12% di lavoratori poveri” a tutela dei quali i partiti d’opposizione giocano la carta del salario minimo. Per costoro, una soglia minima della retribuzione era di fatto offerta dal reddito di cittadinanza: i datori di lavoro potenziali dovevano offrire di più di quanto fosse possibile percepire (almeno per un certo periodo di tempo) senza lavorare.

Se gli stipendi sono bassi, il problema non risiede nell’assenza di una norma che stabilisca quale dev’essere il salario minimo: quanto invece nella scarsa produttività del lavoro stesso, in Italia stagnante da un paio di decenni. Senza una ripresa della produttività, se cioè il lavoro non è messo in condizione di produrre di più in una certa unità di tempo, è improbabile che aumentino i salari.

Il punto è che la segretaria del Pd, pur senza esplicitarlo, pare invece convinta che le retribuzioni si fissino per legge. Nei Paesi in cui c’è, le autorità di solito sono ben attente a fissare il salario minimo al livello o appena sotto al salario “prevalente” in un certo mercato e in un certo territorio. L’Unione europea non a caso suggerisce di fissare l’asticella al 60% del salario mediano e dove c’è il salario minimo è di norma fra il 40 e il 60%.

Il timore è che, soprattutto per le categorie professionali più umili e più fragili, l’apparente beneficio di una soglia sotto la quale il salario non può scendere si rifletta in una diminuzione della domanda di lavoro. Per esempio: io volentieri impiego una signora che mi dà una mano, una volta la settimana, con le pulizie di casa, ma se la legge determinasse la sua retribuzione a un livello per me troppo oneroso considererei di farmele da solo, magari con l’aiuto di un aspirapolvere nuovo.

Schlein sembra pensare che al contrario la sorte di quei lavoratori possa essere migliorata semplicemente da una norma che stabilisce che vanno pagati di più (e adeguate sanzioni per chi non si adegua). Se così fosse, perché limitarsi a 9 euro l’ora? Perché non cento, duecento? Non migliorerebbe la vita di quelle persone se guadagnassero dieci, venti volte ciò che incassano ora? Altroché se migliorerebbe. Ma forse non c’è molta gente disponibile a pagare un’ora di lavoro di una colf quanto un’ora di lavoro di un avvocato.

Schlein sembra pensare che se la legge fa crescere il salario della prima, automaticamente aumenterà anche quello del secondo. Se è così semplice perché non ci ha mai provato nessuno?

Anche i governi più di sinistra, in passato, hanno in qualche modo sempre accettato che la ricchezza vada prodotta prima di essere distribuita e che anzi più i governi s’ingegnano a distribuirla come ritengono opportu no e meno verrà prodotta. Schlein guarda a modelli diversi. Per esempio l’economia delle mance, generosamente distribuite, su richiesta, dalle nonne ai nipotini.

Direttore dell’Istituto

“Bruno Leoni”

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