A nni fa la Catay Pacific pubblicizzava lo scalo di Hong Kong, sua base operativa, dicendo che in un raggio di circa 5 ore d’aereo era compresa quasi metà della popolazione mondiale. Il senso del messaggio non era banalmente quantitativo ma culturale e persino politico. In Asia hanno preso alla lettera l’insegnamento dei Romani che le civiltà si diffondono e si consolidano con le strade, le connessioni e i traffici, e non è raro vedere una metropolitana che sembra inizialmente perdersi nel nulla o una nuova rotta aerea che sembra ingiustificata, uno spreco.

S alvo poi notare, passati un paio d’anni, lo sviluppo di un nuovo territorio. L’Asia è come un cervello con reti neurali e sinapsi fatte di collegamenti e di logistica, componenti e discipline indispensabili a un’economia in sviluppo, all’interscambio, al miglioramento e non al declino. In 15 anni i cinesi hanno ad esempio costruito 38mila chilometri di ferrovie ad alta velocità, una ragnatela che fornisce una valida alternativa al trasporto aereo, pur in crescita. Da Hong Kong si raggiunge Pechino in treni comodi e silenziosi in sole nove ore a una media di 270 chilometri all’ora.

Interrompo l’esemplificazione: non è necessario infierire quando – ritornando in questa isolata e marginalizzata Sardegna – il tempo medio di viaggio in treno da Olbia a Cagliari è di 3 ore e 37 minuti per percorrere 193 km – il treno più veloce impiega 3 ore e 20 minuti, alleluia. Stiamo parlando di neanche 89 chilometri all’ora ottenuti nell’unica dorsale ferroviaria che, dopo 160 anni dall’unità d’Italia e dopo 74 anni dalle prime elezioni regionali sarde, dovrebbe rappresentare il fiore all’occhiello della proposta pubblica dei trasporti interni. Stendiamo un velo sullo pseudo-treno senza neanche toilette che disonora la tratta tra Nuoro e Macomer, sul disfacimento della rete dei trenini verdi che avrebbero potuto essere un potente strumento di differenziazione turistica, sullo stato comatoso della rete stradale che ogni giorno peggiora in termini di qualità e manutenzione.

Passiamo oltre, ripetiamoci che la Sardegna è meravigliosa, unica, e mettiamoci però nei panni di chi deve decidere sul progetto Einstein Telescope, ET, “la grande infrastruttura di ricerca del futuro rivelatore di onde gravitazionali da realizzare in Europa, un progetto di impatto scientifico e tecnologico di livello mondiale, che l’Italia è candidata a ospitare in Sardegna nell’area della miniera dismessa di Sos Enattos”. Poche discussioni, il sito ideale di cui ET ha bisogno per operare è la zona tra i comuni di Lula, Bitti e Onanì: “basso rumore sismico, scarsa presenza di falde acquifere e rocce idonee a costruire in sicurezza gli ambienti del laboratorio sotterraneo, grandi estensioni di aree rurali a bassissima densità di popolazione e quindi bassa attività antropica e industriale”.

Ma attenzione: se da un lato “il deserto” (così viene chiamato dai concorrenti europei) che circonda Sos Enattos è ottimo per gli scopi della ricerca, dall’altro è una falesia per le migliaia di persone – scienziati, tecnici, lavoratori e rispettive famiglie – che dovrebbero risiederci. Si parla di circa tremila persone con esigenze che chiamerei “civili”, non certo straordinarie ma di livello europeo e non da terzo mondo. Necessitano abitazioni, scuole, trasporti, strutture sanitarie, amministrative e sociali. Condizioni di vita che in questo momento non sono assicurabili senza un ribaltamento drastico dei sistemi e delle infrastrutture.

Ci presentiamo all’Europa con le attuali strade, le inesistenti ferrovie? Con quali case, scuole e ospedali, con quali medici, infermieri, impr enditori, esperti di logistica, manutentori? E facciamo un marketing vincente se combattiamo le proteste per l’overbooking dei treni lumaca usando la polizia, se veicoliamo l’idea d’essere infiltrati dalla mafia, se perpetuiamo faide e omicidi?

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