L a crisi delle accise, la reazione dei benzinai contro i provvedimenti del governo e la ratifica in Parlamento dell’adesione definitiva dell’Italia al Mes sono tre argomenti dibattuti in questi giorni nel governo e tra i partiti. Le accise, come ha scritto Luca Telese su questo giornale, per la prima volta hanno fatto suonare un campanello d'allarme a Palazzo Chigi.

Si tratta del primo passo falso del governo, che si celebra in un clima di veleni e diffidenza. Ancora una volta, Giorgia Meloni ha dovuto cambiare rotta repentinamente sulle politiche di calmieramento dei costi dei carburanti.

Ed è costretta «a spendere risorse enormi (o a promettere precipitosamente di farlo) per non perdere consensi». Tutto è iniziato ai primi di gennaio, quando si è verificata una fiammata dei prezzi almeno in parte collegata alla decisione del governo di non prorogare lo sconto sulle accise a suo tempo deciso dall’esecutivo Draghi, che da marzo scorso è costato alle casse dello Stato circa un miliardo di euro al mese. Il prezzo alla pompa è così salito in poche settimane, con il governo che, almeno inizialmente, aveva puntato il dito contro i gestori dei distributori, accusandoli esplicitamente di speculare.

Ma come si dovrebbero determinare i prezzi alla pompa secondo il meccanismo messo a punto dal governo? Al netto delle polemiche, i prezzi dei carburanti verranno calcolati mettendo insieme più elementi: il costo della materia prima, l’accisa e l’Iva calcolata sulla somma delle prime due voci.

Nell’ultimo decreto del governo si è stabilito che, in presenza di un aumento del costo del petrolio, che in automatico fa aumentare anche i proventi dell’Iva, il maggiore incasso di quest’ultima da parte dello Stato possa essere utilizzato per finanziare le riduzioni del prezzo finale. Le riduzioni promesse dal governo potrebbero essere attivate grazie al meccanismo dell’accisa “mobile”, di fatto si tratta di un taglio delle tasse che viene coperto dai maggiori guadagni dello Stato grazie agli aumenti dell’Iva.

In altri termini, quando aumenta il prezzo del carburante, l’accisa corrispondente diminuisce in maniera proporzionale, diventando perciò “mobile” e non più fissa. In questo modo, gli aumenti del prezzo alla vendita non sono più scaricati su chi fa il pieno, ma sulle casse dello Stato nella misura corrispondente agli incrementi del gettito dell’Iva.

Sul secondo argomento accennato in premessa, c’è da rilevare la delusione dei benzinai per il decreto carburanti del governo. Un decreto che, dopo il primo incontro con lo stesso governo a Palazzo Chigi, per i benzinai doveva rappresentare un passo verso una maggiore trasparenza nel settore, con interventi soprattutto contro quella parte di irregolari che costa allo Stato 13 miliardi all’anno di mancati introiti. «Non è stato così — spiega Giuseppe Sperduto, presidente dell’associazione sindacale Faib —: le sanzioni fino a 6 mila euro per mancata o errata esposizione dei prezzi regionali medi e la possibile sospensione dell’attività criminalizzano tutta la categoria, perciò il decreto va rivisto». I gestori chiedono una marcia indietro sulle sanzioni, ma anche «chiarezza: c’è troppa confusione, il governo fa lo scaricabarile dopo aver certificato il nostro comportamento corretto».

Infine, il terzo problema del governo che resta ancora aperto è la ratifica del Mes in Parlamento. Forza Italia è favorevole, «per non restare isolati in Europa». La premier Meloni tentenna. Tanto che nei giorni scorsi il direttore generale del Mes, Pierre Gramegna, è volato a Roma per un faccia a faccia col governo. La premier italiana ritiene che il Mes sia uno strumento «anomalo» e chiede alla Ue di «verificare possibili correttivi». Sulla ratifica, tuttavia, il commissario all’Economia Paolo Gentiloni si è detto «fiducioso» e il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe, di recente in Italia, ha riconosciuto «il lavoro importante svolto su questo argomento dal governo italiano». Perciò la premier si starebbe orientando a presentare in Parlamento il disegno di legge di ratifica.

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