N on possiamo essere sicuri che l’inflazione stia per regredire. Un altro scenario molto plausibile si profila nel nostro scuro orizzonte europeo, quello di un potente contraccolpo deflazionistico. Perché l’aumento attuale dei prezzi è soprattutto legato all’eccezionale disequilibrio seguito alla crisi sanitaria e aggravato poi dalla guerra in Ucraina: da una parte una domanda forte stimolata dal risparmio forzato delle famiglie e dai considerevoli aiuti pubblici; dall’altra, un’offerta ridotta, limitata da produzioni rallentate e da stock molto bassi.

Questo monumentale divario tra domanda e offerta ha avuto un drammatico impatto sui prezzi (che hanno giocato sul mercato il loro naturale ruolo di arbitro che nessuna imposizione governativa è mai riuscita a scalfire in maniera efficace e duratura – lo Stato, chiariamo, non può imporre prezzi senza pagarne un “prezzo” alla lunga insostenibile, non è un gioco di parole).

Gli aumenti hanno evidentemente stimolato la produzione e assorbito l’eccesso di domanda, e la situazione potrebbe essere sul punto di invertirsi. Ma dal lato della domanda, le famiglie hanno speso il loro eccesso di risparmio (o per paura l’hanno canalizzato verso depositi o investimenti non produttivi) e i prezzi elevati hanno nettamente frenato le vendite, per esempio nell’automobile, nell’abbigliamento o nell’informatica. E dal lato dell’offerta, due fenomeni che possono essere giudicati epocali hanno impattato sulle capacità produttive: la strozzatura delle forniture di materie prime ed energia; la rottura delle catene logistiche.

L’insieme di questi effetti dirompenti tiene alti i prezzi e deprime l’economia. L’orizzonte che si prospetta sembrerebbe di stagflazione, brutta parola che indica una fase economica caratterizzata dall’insistenza dell’inflazione e dallo stallo economico. A febbraio, un valente economista governativo calcolava che un’eventuale guerra in Ucraina avrebbe causato una perdita dell’1% del Pil, tutto qui. Ancora qualche mese fa un nostro ministro dichiarava l’impossibilità per Putin di chiudere i rubinetti del gas e dunque la nostra tranquillità energetica, garantita dal nostro interventismo. Solo nei giorni scorsi un esperto di geopolitica ha decretato la sconfitta della Russia a seguito dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, senza citare gli effetti del riavvicinamento strategico Russia-Cina. E viene da rabbrividire di fronte a superficialità che ci condannano all’ignoranza.

Pensare di considerare la guerra in corso utilizzando l’approccio del “ceteris paribus”, ovvero a parità d’altre condizioni e dimenticando che nel mondo “tout se tient” (i chip arrivano da Taiwan, ad esempio, metalli per produrli dalla Cina), è un errore da arrampicatori del potere, non da statisti. Stiamo anche noi perdendo la guerra, ogni giorno, e un intero sistema Occidentale, lo stesso che avrebbe dichiarato “la fine della storia” in quanto prossimo alla perfezione, versa in crisi profonda, oppresso dai vizi costitutivi. Immaginare infatti che possa perdurare un impianto globale che preserva il benessere e il futuro di meno di un miliardo di persone privilegiate a scapito di altri sette miliardi di sfortunati, è un esercizio immorale prima che utopistico. Anche la globalizzazione è stata, nei fatti, un’ulteriore colonizzazione: ha delocalizzato gli anelli ultimi delle catene del lavoro, senza lasciare margini significativi ai paesi deboli. La finanziarizzazione ha esaltato il potere della “carta” a scapito dell’economia, mentre noi occidentali perdevamo via via il know-how, l’autosufficienza e il senso del lavoro. Dovevamo esportare umanità, civiltà e cultura, abbiamo bombardato per decenni parlando di una democrazia senza etica, con quali risultati?

Ci affacciamo ora imbelli a una frammentazione esplosiva dell’Occidente e a una stagflazione neanche citata nella propaganda elettorale, discutendo dei miliardi del Pnrr quando d’inverno non avremo il pellet per riscaldarc i. C’è da chiedersi se la soluzione non sia di rimetterci a lavorare (seriamente, diffusamente, capillarmente) per ricostruire un sistema che abbiamo distrutto inseguendo scorciatoie, utopie e diritti, diventati alibi e gabbie. Per noi nessun piano Marshall, non illudiamoci, nessuno farà sconti. Siamo soli, senza vere riforme, ad affrontare i territori sconosciuti del debito-monstre e dell’inflazione.

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