M ick Jagger aveva 73 anni quando è diventato padre per l’ottava volta. Nessuno si è scandalizzato, semmai qualcuno ha guardato con un pizzico di invidia quell’eterno giovanotto bravo a sfruttare quello che la natura consente. Quando invece la super modella Naomi Campbell ha annunciato di essere diventata madre a 51 anni, specificando di non aver adottato la bambina, si è scatenato il gossip: nessuno l’ha vista col pancione, quindi deve aver fatto ricorso all’utero in affitto. Sì, perché alle donne a un certo punto la natura dice stop.

Ma è stato giusto un chiacchiericcio, intorno a una pratica medica che consente di diventare madre senza una gravidanza, e in questo caso, pare, pure senza un uomo, il che implica il ricorso alla donazione del seme. Niente polemiche né dibattiti, come invece era successo col politico italiano Niki Vendola e col cantante Tiziano Ferro, che avevano fatto ricorso alla gestazione per altri insieme ai loro compagni di vita. Reazioni diverse legate, certamente, al fatto che nel primo caso si tratta di una donna, nel secondo di uomini.

Il tema è riesploso in questi giorni quando i prefetti, sulla base di una sentenza della Cassazione, hanno ordinato ai sindaci di interrompere la trascrizione degli atti di nascita esteri dei figli di coppie dello stesso sesso (omogenitoriali). La società italiana si divide su un tema che va alla radice del senso di umanità: la scienza e la medicina possono andare oltre la natura? Siamo noi a dover decidere se e quando fermarci.

L ’utero in affitto consente di impiantare un embrione formato dal seme del padre e da un ovocita che non è quello della donna che porterà a termine la gravidanza. Il che ribalta il latinetto: pater semper certum est, mater numquam. Se un giorno quel bambino, come è suo diritto - lo hanno stabilito la Consulta e la Corte europea dei diritti dell’uomo - vorrà sapere chi è la madre biologica, chi dovrà cercare? Chi lo ha partorito o chi ha donato l’ovulo? Ed è solo uno dei problemi che si possono sollevare. L’altro è legato alla omogenitorialità su cui l’opinione pubblica si spacca. E la politica pure, ma in un modo troppo chiassoso per ragionare su una tema così delicato.

Chi ha la responsabilità di decidere per gli altri innanzitutto non può discriminare fra generi: Campbell sì, Ferro no. Dunque la discussione dovrebbe aver luogo su un piano diverso. L’idea di chi scrive è che il semaforo rosso debba scattare tutte le volte che c’è un passaggio di soldi. Che è esattamente quello che avviene oggi nei Paesi dove l’utero in affitto è legale ma si paga, pure caro, fino a sessantamila euro. Insomma, la donna che si presta a portare avanti una gravidanza per altri e a partorire un bambino che consegnerà alla nascita, viene retribuita. Non è dunque una donazione, o sarebbe meglio dire, un prestito. E allora, così come è vietato, ed è quindi un reato, nel nostro Paese vendere e comprare organi, anche la maternità surrogata - parola brutta ma efficace - non può trovare spazio perché nel Codice civile la norma sugli atti di disposizione del proprio corpo è un principio generale dell’ordinamento e come tale ha valore di norma imperativa inderogabile. Ma siccome viviamo in un mondo sempre più piccolo, ecco che si pone il problema di chi aggira quella norma e vola in Canada o negli Stati Uniti. Rendere il reato universale, perseguibile, dunque, anche se commesso oltre i confini nazionali, da un lato è giuridicamente impossibile dall’altro non risolve il problema dei figli nati in violazione della norma. Quei bambini ci sono, e devono avere gli stessi diritti di tutti gli altri. Bisognerebbe concentrarsi su questo e tirare fuori una legge che assicuri piena uguaglianza.

Il tema del concepimento, della nascita, della maternità e della paternità tocca tutti e consente a tutti di avere un’idea ma chi è chiamato a fissare le regole deve ragionare tenendo conto della realtà. Perché a fronte di un politico o di un un cantante che annunciano al mondo intero la loro scelta, quante coppie, soprattutto eterosessuali (sono il 90 per cento di 250 all’anno) non dicono nulla e registrano, fin quando è stato possibile, il figlio partorito da una donna a loro estranea? L’alternativa è che il cosiddetto genitore intenzionale avvii la pratica per l’adozione, ma non è tra i procedimenti più semplici sebbene abbia una corsia preferenziale.

Ecco dunque l’urgenza di velocizzare le adozioni del figlio del partner, anche omosessuale (stepchild adoption). Per capire l’importanza di questo passaggio basti pensare alla morte del genitore biologico: il figlio non ha alcuna certezza che sarà affidato al partner del padre o della madre con quale ha sempre vissuto, il che implica il rischio di una doppia perdita.

Ma bisognerebbe velocizzare tutte le adozioni, dal momento che oggi va in porto una domanda ogni dieci. Altrimenti è puro esercizio dialettico parlare pure di adozioni per i gay e i single, possibili in altri Stati, che darebbero una famiglia a tanti bambini soli e potrebbero soddisfare il desiderio di paternità e maternità che spinge tante persone verso strade umanamente complicate.

© Riproduzione riservata