L o abbiamo visto tutti: Bakayoko fuori dalla macchina, perquisito energicamente mentre una poliziotta teneva sotto tiro con la pistola ad altezza d’uomo il passeggero all’interno nel Suv. Abbiamo visto anche la faccia stupita dell’agente quando ha saputo chi era il giovane del quale stava frugando le tasche. Armi nella fondina e tante scuse.

Ma qualcuno ha ripreso la scena e l’ha postata sui social, così è partita l’indignazione virale: razzismo puro, che però cede alla ricchezza. Una valanga di post dello stesso tenore.

Q ualcuno ha addirittura paragonato l’episodio a quello che ha portato alla morte di George Floyd, negli Stati Uniti, senza sapere il dove, il quando, il perché. Delle cinque domande che stanno alla base della corretta informazione c’erano solo il chi e il come. Che non bastano. Innanzitutto: il video è del 2 luglio. All’alba a Milano c’è stata una sparatoria in corso Como fra gruppi di spacciatori magrebini e senegalesi. Due erano in fuga, i testimoni hanno indicato un suv guidato da un uomo centroafricano alto, con una maglietta verde. Le volanti sono partite all’inseguimento ed è passata l’auto del calciatore: era simile a quella descritta dai testimoni, coincideva pure l’abbigliamento. Lo hanno bloccato. Il resto è quello che si vede nel filmato, inclusa la faccia del poliziotto quando scopre che il fermato non è un pericoloso spacciatore ma il campione rossonero. Che non ha detto né fatto nulla, e neanche il Milan, quando ha saputo. Tanto che per 15 giorni nessuno ne ha parlato. Poi il passante filmaker ha postato il video sui social ed è partita l’indignazione presto tracimata ovunque.

Era già successo, poche settimane fa, a Livorno: una ragazza con mosse da esperta di arti marziali aveva messo ko un uomo. Il video era diventato virale: si era gridato all’aggressione, allo scippo, si era detto che lei era una paracadutista della Folgore e che il delinquente era finito nelle mani giuste. E poi, l’accusa ai passanti, colpevoli di non essere intervenuti. Invece: la polizia era stata chiamata, se non dai passanti da chi?, e non c’era stata alcuna aggressione sessuale né scippo. Erano due fidanzati che praticano kick boxing e stavano litigando. Lui non aveva reagito e aveva incassato i colpi.

L’altro giorno è successo pure a Porto Torres dove un operatore ecologico è stato messo alla gogna social: lo hanno ripreso mentre sembrava buttare alcune buste di rifiuti in mare. Invece: le stava semplicemente raccogliendo per poi smaltirle com’è suo dovere. La prospettiva traeva in inganno. Il poveretto ha dovuto spiegare, chiarire, giustificare.

E allora, in un mondo dove chiunque può riprendere qualunque cosa e diffonderla con facilità è ancora più indispensabile il giornalismo: chiedere, verificare e poi descrivere. Sembra una banalità, a quanto pare non lo è se Amnesty international per Bakayoko ha parlato di “profilazione etnica, una pratica discriminatoria che su una persona non famosa avrebbe potuto avere conseguenze gravi”, mentre il questore sottolineava che il servizio si era svolto “con modalità coerenti rispetto al tipo di allarme in atto”. Prima di postare pensa, si diceva fino a poco tempo fa. Ora bisognerebbe dire: prima di postare informati. Altrimenti ognuno vede quello che vuole vedere, con gli occhiali dei suoi pregiudizi .

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