I l Sole 24Ore, ricostruendo la crisi del Credit Suisse, scrive che nel 2007, insieme alla Ubs, i due istituti svizzeri avevano la più grande esposizione al mondo in derivati OTC (prodotti finanziari che sono negoziati al di fuori dei mercati regolamentati con regole stabilite privatamente), per un valore nominale poco sotto gli 80mila miliardi di dollari. Parliamo di sole due banche e di una cifra prossima al Pil mondiale che tocca i 95mila miliardi di dollari. Il dato conferma le stime che indicavano il 90% della “ricchezza teoricamente liquidabile” esistente nel mondo fatta di quasi-monete.

V ale a dire azioni, obbligazioni, quote dei diversi fondi tra cui ETF, contratti “future”, contratti di scambio “swap”, contratti a termine “forward”, contratti “option” tra cui i “covered warrant”, prodotti di assicurazione contro il rischio di credito “credit default swap”, gli innumerevoli prodotti di ingegneria finanziaria, derivati dei derivati. Il tutto per un totale di circa 4 milioni di miliardi di quasi-monete, pari a oltre 40 volte il Pil mondiale. Altre stime più conservative parlano di prodotti finanziari altamente tossici (matrioske sempre più affamate e meno trasparenti ) di valore pari a 5-10 volte il Pil mondiale.

In sintesi, a partire dagli anni ’70 gli Stati Uniti hanno delocalizzato le proprie forniture dedicandosi internamente alla produzione di armi, alta tecnologia e prodotti finanziari – e chi è stato negli Usa anche ultimamente può testimoniare sulla povertà delle infrastrutture e del welfare. Il risultato della finanziarizzazione? La nube di prodotti finanziari, figlia di un’avidità esponenziale, è forse il peggior cappio che l’Occidente si porta oggi al collo. La guerra in Ucraina è stata il detonatore di una situazione che stava già esplodendo con la crisi delle obbligazioni e del settore tecnologico e con la crescita dell’inflazione. Emerge la sfiducia dei risparmiatori e degli investitori, mentre l’instabilità del settore bancario, ormai tangibile sui mercati, è anche frutto della medicina anti-inflazione, che non può che essere recessiva: non esiste un esperimento di successo contro l’inflazione che non abbia portato gradi di recessione. Dobbiamo dunque prepararci non solo a un lungo periodo di privazioni, di disoccupazione, d’instabilità, ma anche a una volatilità finanziaria scarsamente controllabile. Il fatto che il settore bancario non possa fallire perché altrimenti le conseguenze sarebbero a dir poco devastanti, non deve lasciarci tranquilli: il settore non è infatti sicuro, tutt’altro.

All’inizio dell’anno, ad esempio, le banche americane detenevano attività per 24 trilioni di dollari. Di queste, circa 2 trilioni di dollari erano di capitale pregiato e solo 3,4 trilioni di dollari erano liquide, disponibili per eventuali rimborsi dei depositi. Per differenza, oltre 18 trilioni di dollari, investiti in prodotti finanziari vari ed eventuali, sarebbero a rischio spazzatura in caso di sfiducia generalizzata. A questo dato va aggiunto che, come conseguenza dell’aumento dei tassi, le istituzioni finanziarie americane hanno oggi 620 miliardi di dollari di perdite non contabilizzate al prezzo di mercato (fonte dell’Agenzia Federale Usa che assicura i depositi). Una crisi che colpisse solo il 10% dell’attivo delle banche avrebbe l’effetto di una bomba atomica (le guerre non si fanno solo con le armi, ma con la finanza, l’immigrazione, le materie prime, ecc.). Quando il capitale di una banca si riduce, per evitare il contagio le banche centrali intervengono mettendo in campo i soldi dei contribuenti e/o stampando nuova moneta, mentre i governi si accollano conseguenze assortite (disoccupaz ione, disordini, ecc.). Le banche private diventano dunque “pubbliche”, ma sono i risparmiatori da un lato e tutti i cittadini dall’altro a soffrirne. Altrettanto certo è che una crisi finanziaria non si arresterebbe ai confini dell’Europa: come successo nel 2008 sarebbe anzi l’euro l’anello più debole del tavolo. Sono crollate in pochi giorni l’immagine e la verginità della Svizzera, vero totem bancario dell’Occidente; è stata pesantemente attaccata la Germania; pensiamo di essere al sicuro? Esiste una sola uscita: tornare alla sana economia rinforzando i plinti della democrazia oggi in deficit. È il ruolo e il futuro dell’Occidente.

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