L a vita della Regina Elisabetta era senz’altro, per le possibilità e gli eventi che l’hanno attraversata, quanto di più lontano dalla quotidianità dei suoi sudditi. Ma, almeno in parte, la sua popolarità si fondava su una connessione che sin da principio aveva stabilito con molti di loro. In un’epoca nella quale i cambiamenti della morale comune, in tema di famiglia e sesso, non hanno risparmiato gli stessi Windsor, la Regina era un esempio luminoso. Un’incarnazione di quelli che, riferendosi al lungo regno della sua bisnonna, alcuni chiamano spregiativamente “valori vittoriani”.

P oche ore prima che uno dei pochi preclari esempi morali dei nostri tempi lasciasse questa terra, si è accesa, sempre in Inghilterra, una polemica sul nuovo ministro della sanità, Therese Coffey. Quando conviene loro, i social hanno la memoria lunga: e in corrispondenza della nomina hanno scodellato una foto della Coffey con bicchiere in mano e sigaro fra le labbra. Siccome la ministra non è proprio una silfide, la foto suggeriva l’incongruenza fra il portafoglio ministeriale e il suo stile di vita. Fosse stata una donna di sinistra, sarebbe stata “body shaming”. Essendo invece di destra, si è trattato di un condivisibile timore per i modelli che vengono offerti alle nuove generazioni.

Al netto della solita ipocrisia, è utile chiedersi se sia il mestiere dei politici essere un modello. Una volta ci si aspettava qualcosa del genere da un monarca. Essendo egli il simbolo di un’intera nazione, doveva in qualche modo incarnarne le virtù. Prima dei moderni mezzi d’informazione, ciò risultava possibile, anche se difficoltoso. Semplicemente, gli aspetti più discutibili della vita del re venivano tenuti in un cono d’ombra. Ma di sovrani dalla vita matrimoniale immacolata o quasi ce ne sono stati pochini (forse Luigi Filippo d’Orleans, sicuramente la Regina Vittoria). Con l’avvento della televisione, tutto diventa una fiction. Con i social, alla naturale curiosità per la vita degli uomini politici si somma un altro fenomeno. Il leader-influencer deve essere, lui per primo, capace di dare in pasto la propria vita al suo pubblico. I social non sono tanto uno strumento di persuasione di un ipotetico elettore indeciso ma servono al racconto di sé. Così, Berlusconi su Tik Tok gioca a fare il nonno d’Italia mentre Carlo Calenda si esercita in suggerimenti di lettura (anche di libri non scritti da lui) e Giorgia Meloni smista gli inviti a cena degli avversari rispettosi. Tutte queste cose sono funzionali alla creazione dell’immagine che il leader desidera per sé, come lo erano del resto le avventure enogastronomiche, puntualmente documentate, di Matteo Salvini (uomo di sagra e dunque del popolo) o le corsette, altrettanto documentate, di Matteo Renzi (dinamico e attivo in ogni momento della giornata).

“Condividere” però pezzi della propria vita privata è rischioso, perché significa esporsi proprio dove molti, essendo umani, sono più deboli. Il problema è che i social disegnano un nuovo tipo di interazione, fra leader e persone comuni. La politica è sempre stata, anche, teatro ma mai come oggi la differenza fra un politico e una star della televisione o del cinema passa per una linea sottile.

I programmi elettorali in passato servivano all’elettore non tanto perché ci credesse davvero, ma perché davano alcune indicazioni circa ciò che ci si poteva aspettare in caso di affermazione di un partito o dell’altro. Se mi promette di abbassare le tasse, verosimilmente non le aumenterà. Se mi promette un nuovo sussidio, non toglierà quello che già ricevo. È possibile che l’impressione di conoscere, direttamente, il politico serva allo stesso s copo. Che nella sua quotidianità si possano cogliere segnali su come si comporterebbe in una certa situazione. Questa nuova ricerca di modelli esemplari rischia però di rivelarsi un gioco di prestigio. Nelle democrazie contemporanee, le decisioni non spettano quasi mai a una persona soltanto: anche all’interno di un Ministero. La signora Coffey dovrà confrontarsi con esperti, consulenti, con la sua maggioranza parlamentare, con i tecnici del diritto che scrivono le norme. In più, per governare non basta uno stile di vita ma servono delle idee su ciò che è opportuno o non opportuno fare, in un certo momento. Non è immediato dedurle dalla preferenza per questo o quel sigaro o per questo o quel whisky di marca.

Direttore dell’Istituto Bruno Leoni

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