C ’è una distorsione negli orientamenti della politica che aiuta a capire il perché si sia giunti, in questi ultimi anni post crisi 2008, ed in particolare nelle regioni meridionali ed insulari del Paese, ad una fase dell’economia che molti definiscono “della decrescita populista”. A causa – viene precisato – del prevalere, sempre più in crescita, di scelte orientate unilateralmente verso interventi discrezionali di tutele ed aiuti corporativi e clientelari e non, come si dovrebbe per buona prassi politica, verso investimenti produttivi d’interesse generale.

I l giudizio – ricavabile da uno studio effettuato dal centro studi “Nuovo Mezzogiorno” – può essere condiviso proprio per la situazione sarda, dove l’analisi delle destinazioni ricavabili dalle erogazioni disposte dalle diverse Giunte regionali, consente di valutare l’entità ed il peso di queste distorsioni. D’altra parte, gli incendi, le siccità, le alluvioni, le epidemie e quant’altro possa essere motivato da disgrazie, sfortune o guai d’ogni specie, sono divenute le motivazioni principali degli aiuti e dei soccorsi disposti discrezionalmente dagli interventi regionali. Ed averli chiamati “ristori”, come indicato dal giurista Conte per nobilitarne le ragioni, non ne ha di certo modificato la natura discrezionale (e, talvolta, solo clientelare).

Ed in proposito ritornano in mente le parole ammonitrici di quel grande meridionalista che è stato Pasquale Saraceno, che indicavano circa un trentennio fa (1990), la «distorsione crescente cui è sottoposta la spesa pubblica nel Mezzogiorno sotto la pressione di quelle forze che sono interessate piú ad una ripartizione privatistica dei fondi pubblici che al loro impiego per un effettivo sviluppo economico», come causa della formazione di un vizioso blocco sociale di interessi corporativi ed affari privati, divenuto sempre più invadente e diffuso. Per ovviarvi, era per lui indispensabile dare vita nelle diverse regioni meridionali «a degli speciali apparati pubblici non burocratici, ai quali affidare in piena autonomia, le responsabilità di programmazione, progettazione e finanziamento degli interventi intersettoriali volti allo sviluppo».

Non vi è dubbio alcuno che quella lezione sia ancora di grande attualità, ed è assai importante che anche la politica sarda se ne riappropri e ne faccia tesoro, proprio perché è nel prevalere di quel blocco sociale di interessi particolari, l’ostacolo più difficile da superare nel percorso verso la ripresa e lo sviluppo. I casi sono diversi e numerosi, tanto da indicare che il male oscuro sofferto dalla Regione – qui intesa come istituzione di governo politico dell’Isola – risiede nella sua verificata incapacità/inettitudine nel saper programmare, progettare, finanziare e coordinare gli interventi necessari per creare e diffondere crescita e sviluppo. Perché le mancherebbe quella che Saraceno ha definito essere la cultura del progresso e la vocazione allo sviluppo. Non è senza ragione quindi che di nuovo e di innovativo (in opere pubbliche come in opifici e fabbriche) in Sardegna se ne è visto assai poco, dato che ormai da diversi decenni, tutti i dati statistici confermano una pesante decrescita. Ed anche il Pil odierno, in costanza di valori monetari, appare inferiore a quello del 1982, quarant’anni or sono.

D’altra parte, qui da noi la tendenza politica prevalente appare sempre più rivolta a corrispondere a richieste (di aiuti, sussidi, ristori e quant’altro) per i guai o le disavventure passate, più che a prospettare proposte e programmi per realizzare un futuro orientato al progresso. Si tratta di una tendenza assai perniciosa, oltre che molto contagiosa, che incrementa sempre più l’area passiva delle rendite da politica nei confronti del ruolo attivo e propositivo degli investimenti destinati alla crescita. Ci sono, purtroppo, delle risultanze molto sconfortanti sull’entità di queste distorsioni. Calcoli assai semplici confermano infatti che sul totale delle erogazioni regionali dell’ultimo decennio, ben più dei due terzi siano andati a risanare/ristorare quanti hanno reclamato con più forza per danni subiti o per guai passati.

Forse, ma la mia vuol essere solo una provocazione, bisognerebbe affidare la responsabilità dello sviluppo, ad un organismo tecnico-operativo, extra moenia dalla politica della spesa corrente e dei benefici a domanda, che autonomamente programmi, progetti, faciliti e realizzi quanto necessario per ridare finalmente crescita e benessere alla Sardegna.

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