O rmai da anni fa scalpore nel nostro Paese il problema delle concessioni balneari , cioè la vicenda di coloro che gestiscono le concessioni balneari per – chiamiamolo così -“diritto storico” e non, come prevede la legislazione europea, per aver vinto un concorso .

In poche parole l’Unione Europea dice che se lo Stato decide di concedere qualcosa, tutti i cittadini hanno diritto di concorrere per avere quella concessione per cui deve essere fatta una procedura nella quale il migliore vince. Tutti conosciamo le resistenze, al limite della rivolta, che gli attuali concessionari stanno opponendo allo Stato che, un po’ di malavoglia, sta cercando di applicare la normativa europea, cosa cui peraltro è obbligato anche da una serie univoca di sentenze della magistratura amministrativa.

Bene, se questo è quello che succede per le concessioni delle spiagge, immaginate quello che succederà nella sanità quando verrà data piena attuazione all’articolo 15 della legge 118 dell’agosto 2022 e cioè la legge annuale per la concorrenza. L’articolo 15 si intitola “Revisione e trasparenza dell’accreditamento e del convenzionamento delle strutture private nonché monitoraggio e valutazione degli erogatori privati convenzionati” e, per dirla in sintesi, prevede che le future concessioni siano affidate tramite gare pubbliche “trasparenti, eque e non discriminatorie”, previa pubblicazione di un avviso contenente criteri oggettivi di selezione, che valorizzino prioritariamente la qualità delle specifiche prestazioni sanitarie da erogare.

L a norma sembra riferirsi solo a nuove strutture e a nuove attività in strutture preesistenti, e non agli attuali concessionari, cioè le cliniche private e altri erogatori già ora convenzionate. Ma certamente apre una porta su una strada che si sa dove inizia ma non si sa dove finisce. La norma detta puntuali criteri cui le Regioni dovranno adeguarsi nella concessione degli accreditamenti che, si sa, sono l’anticamera dei contratti a carico della sanità pubblica.

Qualità e volumi dei servizi da erogare, risultati dell’attività eventualmente già svolta, obiettivi di sicurezza delle prestazioni sanitarie e degli esiti delle attività di controllo, vigilanza e monitoraggio sono i criteri base cui dovranno attenersi le Regioni. Poi la norma aggiunge che la selezione deve essere fatta periodicamente, sulla base della programmazione regionale e qui si perde un po’ il filo: questo vale solo per i nuovi accreditati o anche per quelli storici, magari quando vengono rinnovati gli accreditamenti oggi in vigore? Cioè, d’ora in avanti tutti gli accreditamenti saranno messi periodicamente a gara pubblica?

La nuova disciplina sembra aprire le porte ad un futuro in cui gli accreditamenti regionali (e i contratti) saranno concessi solo tramite gare effettuate dopo un’accurata programmazione dei bisogni e questo dovrebbe riguardare le strutture tipo RSA, centri di riabilitazione diurni e residenziali ma anche l’ospedalità privata. La nuova normativa non scioglie completamente il dubbio se tutto questo riguarderà esclusivamente le strutture create ex novo o se interesserà nel tempo anche le strutture esistenti, portando cioè avanti il concetto di superamento della situazione “storica” degli assegnamenti. E questo è un punto delicato perché va bene la trasparenza, va bene la competitività, va bene che tutti possano partecipare e dimostrare le loro capacità al fine di garantire ai cittadini il miglior servizio sanitario a costi sostenibili, ma si tenga anche conto dei diritti di chi da decenni contribuisce ai risultati di salute garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale.

In quest’ottica non resta che affidarsi al buon senso della Regione che dovrà procedere con estrema prudenza, tenendo presente da un lato la giusta esigenza che i mercati, anche quelli regolati come la sanità, siano aperti a tutti e dall’altro la necessità di tempo per l’adattamento, le esigenze delle aziende e dei lavoratori, insomma l’equilibrio complessivo del sistema.

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