La Bce confusa sull’inflazione
L ’annuncio della presidente della Bce Christine Lagarde di aumentare i tassi di interesse di un altro mezzo punto a partire dal 16 marzo, “per combattere l’inflazione e riportarla al 2%”, ha sollevato pesanti contrarietà che hanno avuto immediate ripercussioni sugli spread e sui Bpt. Soprattutto da parte francese – sorprendentemente – la politica monetaria della Bce è stata considerata approssimativa e criticabile, indice di uno sbandamento strategico-gestionale che attraversa tutta la zona euro.
In effetti, alcuni punti sono comprensibili solo alla luce di una confusione che purtroppo continua a non risolversi. Innanzitutto la Bce è stata incapace di prevedere l’inflazione e la sua durata. Le stime fatte nel settembre e poi nel dicembre 2022 divergono tra loro in maniera significativa, soprattutto in termini di profondità temporale del fenomeno, essendo stata la stessa Lagarde una convinta assertrice di una breve durata dell’inflazione. Nel mondo finanziario, in cui contano anche le ore, un ritardo di tre mesi delle contromosse ha portato le prime perturbazioni. Nel 2022, infatti, il tasso dei pronti contro termine della Bce era ancora di livello espansionistico, e questo ha coinvolto nel ritardo rispetto all’inflazione montante anche i sottostanti mercati finanziari.
Nello stesso periodo la Bce si è distinta per un cambio di strategia altrettanto perturbante: dall’aggiustamento della politica monetaria stabilita mese per mese in funzione delle evoluzioni osservate, all’improvvisa “forward guidance” dei tassi d’interesse con un orizzonte di almeno sei mesi.
A nche questo cambiamento è stato poco compreso. Tuttavia, la questione più importante e maggiormente criticata è il continuare a ignorare, da parte della Bce, alcune semplici basi di macroeconomia. Il primo principio inizialmente disconosciuto, ragione forse del ritardo di reazione, è che fino a quando il tasso di disoccupazione resta inferiore al tasso di disoccupazione strutturale, l’inflazione di base è destinata ad aumentare – nella zona euro, infatti, il tasso di disoccupazione (6,5%) era inferiore a tutte le stime di disoccupazione strutturale (7,5 – 8%). Tuttavia l’errore più macroscopico di Lagarde è l’aver poi confuso l’inflazione da costi (si verifica quando l’aumento dei prezzi dei fattori produttivi o logistici fa aumentare anche i prezzi degli altri beni e servizi) con l’inflazione da domanda (che avviene quando tante persone vogliono acquistare beni o servizi, appunto la cosiddetta domanda, ma non ce ne sono in quantità sufficienti). Nel primo caso, il motore che agisce è quello dell’attività economica reale, che risente quindi dei costi e delle mancanze. Nel secondo caso, il motore che spinge è quello delle aspettative, ad esempio salariali.
A causa soprattutto del lockdown e del calo della domanda e degli investimenti, e poi della successiva rampa di ripresa (con impatto sulle infrastrutture e sulla logistica), quella che è esplosa in Europa è proprio l’inflazione da costi, che ancora porta i maggiori effetti a causa poi della guerra in Ucraina che ha scoperchiato le nostre dipendenze energetiche. L’aumento dei tassi deciso dalla Bce copiando la Fed americana – dove l’inflazione è però fondamentalmente da domanda – e cedendo alla paranoia monetaristica tedesca che ancora risente dei traumi dell’iperinflazione di Weimar, è stato fatto negando la natura stessa dell’inflazione e agendo come un elefante che si precipiti in ritardo in una cristalleria.
Purtroppo è una storia che, sia pur rovesciata, si ripete. Col Quantitative Easing di Draghi vi era stata un’immissione di mezzi monetari illimitati da parte della Bce per salvaguardare le banche commerciali in difficoltà, sostenere l’economia e far crescere l’inflazione a un ottimale 2%. L’economia reale non era stata però beneficiata e l’obiettivo inflattivo non è mai stato raggiunto. Adesso, di fronte a un’inflazione che ribolle come il mosto, la Bce si mostra ancora confusa e poco efficace. Il rischio è ovviamente la perdita di credibilità sui mercati, anche perché esiste una terza inflazione, più subdola, chiamata fiscale o più spesso “di fiducia”: esplode quando gli agenti economici percepiscono che la situazione è fuori controllo e che la presunta stabilizzazione stia avvenendo solamente attraverso la tassa monetaria più ingiusta, appunto l’inflazione.