P er la Sardegna, la fine della stagione estiva coincide con la fine del turismo, vale a dire una delle leve più importanti del proprio sviluppo economico. Si mettono via gli ombrelloni e ripartono i convegni dove si parla di destagionalizzazione, ossia quell’operazione di largo raggio che permette di distribuire le presenze turistiche in tutto il periodo dell’anno. Visto che la vera attrazione sono il mare e il sole, come fare?Unanimemente si pensa al turismo culturale, cioè a quei viaggiatori, soprattutto internazionali, che prendono il treno, l’aereo o il traghetto per andare a visitare i luoghi della cultura.

S i tratta di un mercato particolarmente ricco e in forte espansione. L’Italia, considerata universalmente un “museo a cielo aperto”, rappresenta una delle destinazioni più ricercate, ma a beneficiarne sono in pochi. Secondo i dati resi noti a Firenze nel giugno scorso da The Data Appeal Company, il 70% dei flussi internazionali si concentra sull'1% del territorio italiano. I 24 milioni di presenze culturali internazionali sono ripartiti tra le solite destinazioni note: Roma, Venezia, Firenze, Milano, Napoli, Bari, Verona e Bologna. Al resto del Paese le briciole. In Sardegna non arrivano i turisti internazionali, salvo qualche sporadico sbarco dalle navi da crociera. Eppure da molti anni si investe nella cultura in chiave turistica senza, tuttavia, vedere risultati concreti.

Cosa chiedono i turisti culturali? In primo luogo amano i luoghi fisici della cultura, quelli che raccontano la storia e sono depositari della memoria. Secondo lo studio presentato a Firenze, il livello di attrazione più alto è rappresentato dai musei. I più amati e visitati risultano essere Castel Sant'Angelo di Roma, la Galleria degli Uffizi di Firenze, la Reggia di Caserta, le Gallerie dell'Accademia di Firenze, il Museo del Cinema di Torino e il Percorso Napoli Sotterranea. Questo dato, in primo luogo, insegna che bisogna concentrare le attenzioni della politica culturale sui luoghi fisici, dai siti archeologici ai musei.

In secondo luogo i turisti culturali amano essere “coinvolti”, ossia fare esperienza diretta con le comunità e i luoghi visitati, provare il contatto senza troppe mediazioni e in modo autentico: è il turismo esperienziale che si sviluppa lontano dai circuiti turistici tradizionali. Sono i viaggiatori culturali, di ogni età, che vanno alla ricerca di “qualcosa di unico”, per farsi poi portatori dell’esperienza maturata al loro rientro a casa. In questo percorso, il rapporto con il cibo e i prodotti locali assume una dimensione centrale, in un contesto di assoluta armonia con l’arte e la cultura. Il 21% dei turisti internazionali sceglie la destinazione in funzione delle emozioni ricercate e prenota il viaggio dando preferenza all’esperienza da vivere piuttosto che ai servizi che la fonderanno (volo, traghetto, struttura recettiva…).

La Sardegna risponde a entrambi i requisiti e può quindi proporsi al grande mercato internazionale del turismo culturale. Il suo territorio, infatti, è ricco di siti archeologici unici al mondo e di luoghi della cultura che raccontano la storia millenaria dei suoi abitanti. Ci sono tanti musei anche se la gran parte sono di piccole dimensioni e fanno fatica a sopravvivere, salvo associarsi all’interno delle reti che si stanno costituendo, una per tutte il Tavolo dei musei del Distretto Culturale del nuorese. L’Isola è, poi, una delle regioni geografiche del Mediterraneo dove ambiente e cultura sono meglio salvaguardate e dove, grazie alle sue comunità locali, si può fare esperienza autentica delle sue tradizioni, dall’Ardia di Sedilo e Pozzomaggiore a luglio a Su Tusorzu in Agro di Orotelli a mag gio, dai Mamuthones la notte di Sant’Antonio Abate a Mamoiada alla corsa dei Curridoris da Cabras a San Salvatore di Sinis nel mese di settembre. Può essere una buona base di partenza per ripensare concretamente la destagionalizzazione del turismo.

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