N egli ex voto della chiesa della Madonna d’Itria, a Noragugume, c’è una cavalletta d’argento. È finita dietro una teca per rendere grazie a Dio dopo la liberazione dalle locuste. Nelle campagne di Suni avevano edificato addirittura una chiesa, nel 1938, per ringraziare San Narciso, cui la comunità si affidò per mettere fine all’incubo. Due esempi tra i tanti, in Sardegna, a dimostrazione di come l’uomo – la Bibbia lo testimonia – abbia convissuto con questa maledizione ben prima che il buco nell’ozono sconvolgesse il clima nel nostro pianeta.

L a cavalletta d’argento di Noragugume è datata 1946. Gli anni Cinquanta, quindi, non il Medioevo. Ma in Sardegna non c’erano i pick-up a libro paga della Regione e non c’era la miracolosa “deltametrina”, sparata oggi a destra e a manca rincorrendo le cavallette con una app.

L’Isola, nell’immediato dopoguerra, aveva conosciuto il Ddt utilizzato in ogni dove per debellare la malaria, operazione quella sì straordinaria resa possibile dalla santa alleanza tra Erlaas (Ente regionale per la lotta anti-anofelica in Sardegna) e Rockfeller fondation. A Suni, così come a Dorgali, per combattere le cavallette non c’era un insetticida da ordinare sul web, non c’erano entomologi con un miracolo da celebrare in laboratorio, non c’erano sindaci con la bacchetta magica. C’era la saggezza dei pastori e degli agricoltori. «Aravamo la terra prima della schiusa delle uova, verso la fine dell’inverno, inizio primavera, limitando in parte, l’infestazione», raccontano.

Nel 2019, quando a Ottana e dintorni è ripartito il flagello biblico, la Sardegna si è fatta trovare impreparata. Gli agricoltori hanno manifestato disponibilità ad arare anche i terreni abbandonati, ma nelle stanze dei bottoni riecheggiavano solo bla bla bla. Ed è stato così per quattro anni. Un cocktail di impotenza, forse, ma anche di supponenza, incapacità e burocrazia, che ha finito per fare solo il solletico alle locuste. Persino il lancio degli “antagonisti”, alleati preziosi nella lotta biologica in agricoltura (insetto mangia insetto), ha finito per alimentare un dialogo tra chi non vuole sentire (il sordo peggiore). Personaggi e interpreti: presidenti, assessori, consiglieri regionali, Agenzie regionali di nuovo e vecchio corso, Università di Sassari.

Quest’anno la Regione ha deciso di prendere le locuste per le antenne. E così via libera a tavoloni, tavoli e tavolini soprattutto a Nuoro, con funzionari di Stato che evocano l’arrivo dell’Esercito. Fiumi di parole, con le note stonate dei rimborsi spesa da riconoscere (giustamente) ai tanti presenti. Due, tre, quattro volte. Lì, sul campo, per decine di migliaia di ettari rasi al suolo dalle cavallette, ci sarebbero due-milioni-due (di euro), che assicurano quaranta, cinquanta interventi al giorno con i già evocati pick-up a libro paga della Regione. Comunque qualcosa rispetto al nulla cosmico degli scorsi anni, ma troppo poco pensando ai concerti delle fanfare.

Ma tant’è. Nel mese di luglio 2021, con il Montiferru in ginocchio per gli incendi e la sua gente in lacrime, qualcuno arrivò di gran carriera per esprimere solidarietà e vicinanza. Un bel gesto, reso più concreto dall’annuncio di un fondo straordinario di venti-milioni-venti (di euro) per le prime risposte. Soldi pronta cassa: un mese, un mese e mezzo, si disse. La Regione è al vostro fianco e bla bla bla. Da una Omnibus all’altra, passando per emendamenti e collegati, quelle risorse non sono mai arrivate. Nel Montiferru si sono rimboccati le maniche per far ripartire la vita, mentre i politici e i burocrati che hanno tradito quelle persone in lacrime sono ancora al loro posto.

Decine di migliaia di sardi, con la casa e l’azienda nel cuore della Sardegna aspettano, rassegnati, che il ciclo delle cavallette finisca da solo. Chissà, tra uno, due anni. Pronti anche a portare il santo in processione e a offrire altri ex voto per grazia ricevuta. Con il sospetto, aspettando il miracolo, che le locuste non siano l’unico flagello biblico.

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