L a necessità di abbattere le emissioni di CO2 nel consumo delle varie fonti di energia, cui l’Italia si è impegnata in base ai recenti accordi europei, e quella di ridurre la dipendenza da gas e petrolio esteri, in particolare da quelli importati dalla Russia, soprattutto dopo i recenti sviluppi della guerra in Ucraina, impongono all’Italia di accelerare sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il limite principale che tuttavia impedisce uno sviluppo di tali fonti, che sia adeguato alle esigenze di consumo del Paese, è costituito dal problema dello stoccaggio.

Q uesto è necessario perché un’ampia quota di energia è prodotta da fonti rinnovabili non programmabili e gli accumuli giornalieri o stagionali servono a rendere compatibili la domanda di energia con la disponibilità delle fonti quando produzione e consumo non sono simultanee. Ciò richiede, soprattutto per i piccoli impianti, l’utilizzo di batterie che accumulino l’energia prodotta quando nella rete vi è eccesso di offerta e che la rilascino quando vi è eccesso di domanda.

Secondo RSE, una società che sviluppa attività di ricerca nel settore elettro-energetico, con particolare riferimento ai progetti strategici nazionali e d’interesse pubblico generale finanziati con il Fondo per la Ricerca di Sistema Elettrico, entro il 2030 i comparti idroelettrico, solare ed eolico dovranno crescere complessivamente del 63 per cento e le rinnovabili per usi termici e per uso trasporti dovranno crescere, rispettivamente, del 38 e del 40 per cento. Le stime per l’adozione del Green Deal europeo indicano che dovranno essere installati 26 nuovi GW di impianti da fonti rinnovabili programmabili (idroelettriche) e 83 GW da fonti rinnovabili non programmabili (principalmente eolico e solare). Nei prossimi otto anni, secondo il programma europeo, occorrerà installare 12,3 GW di eolico, di cui 3,2 off-shore, e quasi 30 GW di nuovi impianti di solare fotovoltaico.

Gli obiettivi quantitativi dovranno essere ancora più ambiziosi se ti tiene conto del pacchetto climatico europeo “Fit for 55”, che per i vari Paesi dell’Unione significa essere pronti a ridurre del 55% le emissioni nette di CO2 entro il 2030 e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Una tabella di marcia ambiziosa, che impone agli stati membri un impegno importante verso le riforme e una profonda ristrutturazione economica ed industriale. Complessivamente, il pacchetto europeo si compone di 12 proposte legislative che riguardano numerosi settori: oltre all’industria e all’energia, anche agricoltura, rifiuti, importazioni da paesi terzi e soprattutto il sistema dei trasporti.

Anche per l’Italia, dunque, realizzare impianti di energia rinnovabile diventa una priorità strategica. Tuttavia, l’attuale groviglio di regole incerte e contraddittorie e il clima conflittuale tra amministrazioni centrali e territoriali rendono quest’obiettivo problematico. Negli ultimi anni si è assistito a un’esplosione di nuove iniziative, ma ciò non ha trovato corrispondenza nel numero di autorizzazioni rilasciate: dei circa 23 GW di impianti eolici per i quali è stata fatta istanza dal 2017 a oggi, soltanto 651 MW sono stati autorizzati sulla base della valutazione d’impatto ambientale (Via), mentre l’89% dei progetti si trova ancora nella fase iniziale dei procedimenti autorizzativi. Ne risultano almeno una trentina bloccati da valutazioni paesaggistiche negative del ministero della Cultura, per sei GW di potenza. Inoltre, per soli 509 MW sono stati emessi provvedimenti attestanti che i progetti sono prossimi all’autorizzazione, mentre nel periodo 2017-2020 sono stati emanati dinieghi autoriz zativi per 1.373 MW.

Una situazione ancora più problematica si ha nel settore fotovoltaico. Perciò, il Consiglio dei ministri di lunedì scorso ha introdotto semplificazioni varie nelle procedure autorizzative delle fonti rinnovabili, in particolare per la geotermia, i rigassificatori e i parchi eolici galleggianti. Tuttavia, per cautela ha anche fatto slittare la chiusura delle centrali a carbone.

Università di Cagliari

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